Trentasette miliardi di euro in meno per il Sistema Sanitario Nazionale dal 2010, un’Italia agli ultimi posti rispetto ai paesi dell’Ocse e del G7 in termini di spesa sanitaria, e un Patto per la Salute che rischia di saltare, facendo venir meno le risorse aggiuntive previste per l’anno 2020-2021. È quanto denuncia un rapporto della Fondazione Gimbe, che ha lo scopo di promuovere e realizzare attività di formazione e ricerca in ambito sanitario, sottolineando la necessità di rilanciare la sanità pubblica fin da subito, a partire dalla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2019.
Una situazione alla quale hanno contribuito “tutti i governi”, definanziando, per far fronte alle emergenze del Paese, proprio la sanità, “di fatto il capitolo di spesa pubblica più facilmente aggredibile”. Tra il 2010 e il 2015 sono stati tagliati “circa 25 miliardi” per “tagli conseguenti alle varie manovre finanziare”. Oltre 12, invece, quelli a cui la Sanità ha dovuto rinunciare tra il 2015 e il 2019, per “esigenze di finanza pubblica”. “In termini assoluti il finanziamento pubblico – si legge nel rapporto di Gimbe – è aumentato di 8,8 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,07%)”. Il Def, inoltre, ha ridotto progressivamente il rapporto spesa sanitaria/Pil, passato dal 6,6% dell’anno 2019-2020, al 6,4 previsto per il 2022.
La situazione italiana è critica anche rispetto agli altri paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Il nodo è la spesa media sanitaria, inferiore rispetto agli altri Stati sia se si guarda alla spesa totale ($3.428 vs $ 3.980), sia a quella pubblica ($ 2.545 vs $ 3.038). Dopo di noi ci sono solo i paesi dell’Europa orientale, oltre a Spagna, Portogallo e Grecia. Nel periodo 2009-2018 l’incremento percentuale della spesa sanitaria pubblica, inoltre, si è attestato al 10%, rispetto a una media OCSE del 37%. Il quadro si aggrava, poi, se si guarda ai soli paesi del G7: il divario diventa incolmabile. Ad esempio, se nel 2009 la Germania investiva “solo” 1.167 dollari (+50,6%) in più dell’Italia ($ 3.473 vs $ 2.306), nel 2018 questo divario è salito al 97,7 per cento: Berlino ne investe 5056, Roma 2545. Ma non solo. Ancora al palo, evidenzia la fondazione, è il Patto per la Salute 2019-2021, che dovrebbero stipulare Governo e Regioni e che permetterebbe di aumentare il fabbisogno sanitario nazionale per il 2020 di 2 miliardi e per il 2021 di 1,5 miliardi.
“Le prime dichiarazioni del neo Ministro della Salute – sottolinea il presidente della fondazione, Nino Cartabellotta – non lasciano dubbi sulla volontà di preservare e rilanciare una sanità pubblica e universalistica e di rifinanziare il Sistema sanitario nazionale”. Il riferimento è a quanto detto da Roberto Speranza, neo ministro della Salute, che ha identificato nella carta Costituzionale il “faro” del suo programma, affermando che “la spesa sanitaria non è un costo ma un investimento per la salute”. Impegno che, sottolinea il report, non si trova nel programma di governo, in cui si evidenzia la volontà attuare “un piano straordinario di assunzioni di medici e infermieri”, senza però prevedere esplicitamente il rilancio del finanziamento per il Sistema sanitario. “In tal senso – puntualizza Cartabellotta – la prima cartina al tornasole è rappresentata dall’imminente Nota di Aggiornamento del DEF 2019: ad esempio, se si volesse attuare la cosiddetta “Quota 10” proposta dal Partito Democratico (cioè 10 miliardi di investimenti aggiuntivi nei prossimi 3 anni) occorrerebbe incrementare il rapporto spesa sanitaria/PIL almeno dello 0,2-0,3% per ciascuno degli anni 2020-2022″. Da tenere in considerazione anche il mancato allineamento delle retribuzioni del personale sanitario rispetto agli standard europei, che per essere “rimotivato” non deve solo essere “rimpiazzato”. Proprio dagli stipendi di “personale dipendente e convenzionato”, infatti, come evidenzia il report, è stato “scippato” il “50% degli oltre 37 miliardi sottratti alla sanità”.