La showgirl ha poi ricordato le sue giornate in cella: “Ero con assassine, ladre, rapinatrici, truffatrici. Ci sono altre detenute che compiono gesti di autolesionismo, che picchiano la testa contro i muri"
A Natale festeggerà due anni dall’uscita dal carcere ma intanto Sylvie Lubamba si prepara a tornare sulla scena con la Milano Fashion Week, al via domani. La showgirl lanciata da Piero Chiambretti con il suo “Markette” era stata infatti condannata a 3 anni e nove mesi di carcere per aver utilizzato carte di credito non sue e per questo ha perso ogni contatto con il mondo dello spettacolo. Eppure, la gente continua a fermarla per strada e a chiederle quando tornerà sul piccolo schermo, come lei stessa ha raccontato in un’intervista al Corriere della Sera: “Al bar, al supermercato… Mi fermano, chiedono quando tornerò in televisione“.
“Dopo la perdita di un figlio e una malattia grave, (il carcere, ndr) è la prova più terribile per una persona – ha raccontato Sylvie -. Sono una testimone. Se mi venisse offerta la possibilità di uno spazio, anche di piccole conduzioni, o una presenza in un reality, avrei parecchio da offrire, da condividere. Da professionista quale sono, e senza rinunciare alla comicità, agli istanti di leggerezza, alla mia anima, nel rispetto della vastità della commedia umana”.
“In cella stai per giorni, settimane, in una situazione sospesa, di incredulità. Ti dici: ‘Ma no, è un incubo, dai, adesso mi sveglio’ – ha proseguito -. Poi ne prendi atto e, come dire, diventi di pietra”. La showgirl ha poi ricordato le sue giornate in cella: “Ero con assassine, ladre, rapinatrici, truffatrici. Ci sono altre detenute che compiono gesti di autolesionismo, che picchiano la testa contro i muri, che urlano, e giuro, sono urla strazianti… All’inizio corri, consoli… poi, appunto, ci fai l’abitudine, anche se non mancheranno mai abbracci intensi, carezze che commuovono…Ma è così ogni giorno, sarà così domani – ha continuato a spiegare – . È il carcere. Devi già resistere per salvare la tua dignità. La tua dignità di donna”.
Lei, infatti, abituata a stare sotto ai riflettori e a curare la sua femminilità, ha dovuto fare a meno di tutto questo perché “in cella sei in cinque in uno spazio minuscolo condividendo un gabinetto lì a due metri, e la tua intimità è quella che è”. Oggi si gode la libertà ritrovata e dice: “Passo le ore al computer, scrivo email, propongo idee. Ma non piango miseria, non mi faccia passare per una disperata”, ha concluso.