Il candidato populista (18,95%) dovrebbe sfidare al ballottaggio il magnate televisivo Nabil Karoui (15,26%), ma sorprende il disinteresse generale dopo la rivoluzione e la transizione verso nuove elezioni. Non mancano le accuse di brogli tra i 26 candidati
Abir Moussi, candidata benalista alle presidenziali tunisine, si presenta al seggio 5 del quartiere di Manzah poco dopo le 17 scortata, con le due figlie al suo fianco. Ad accoglierla un nugolo di telecamere e microfoni. Dopo le operazioni di voto, durate per lei una ventina di minuti tra firma, pollice nell’inchiostro, preferenza marcata sulla scheda infine depositata nell’urna, per consentire immagini ed istantanee da ogni profilo, l’avvocatessa 44enne inaugura la sua dichiarazione con un cliché: “Mi sono giunte notizie di pesanti brogli in diverse sezioni. Le irregolarità non ci fermeranno e al ballottaggio saremo ancora più forti. I tunisini e le tunisine sono con me”.
Con 26 candidati ai nastri di partenza era certo che nessuno avrebbe raggiunto la soglia del 50% delle preferenze e altrettanto certe alcune sorprese. Dai rumor della vigilia la Moussi sembrava poter avere delle chance concrete. In effetti le sorprese, almeno nella prima fase degli exit poll, non sono mancate. Tra queste, tuttavia, Abir Moussi non c’è. Le proiezioni non la danno neppure tra i primi sei in classifica. In attesa della comunicazione ufficiale del voto da parte dell’Isie, la Commissione elettorale tunisina, in testa ci sarebbe – il condizionale è d’obbligo, anche se gli exit poll da queste parti risultano abbastanza credibili – Kais Saied, il populista di estrema destra, tributato del 18,95% delle preferenze, seguito dal magnate dell’editoria e proprietario di un canale televisivo, Nabil Karoui, a seguire con il 15,26%.
Tutti parlano di grande sorpresa e di sconfitta annunciata per i candidati ‘politici’, dal fondatore del partito islamista, Abdelfattah Mourou, terzo con circa 12%, all’ex Primo Ministro Youssef Chaed fermo al 7,5% e Abdelkarim Zbidi, l’uomo della continuità, addirittura al 7%: “Qualora Saied dovesse farcela sarebbe un pericoloso passo indietro per la Tunisia” commenta Latif Zouhir, proprietario e direttore di TelvzaTv, il più indipendente dei canali tunisini. Prima dell’esito degli exit poll, Zouhir aveva confidato di temere moltissimo Saied, indietro nei pronostici della vigilia. Le proiezioni sembrano dargli ragione: “Con lui il processo di cambiamento imboccato dalla Tunisia subirebbe una manovra ad ‘U’, si ritornerebbe indietro. La sua visione del Paese è vecchia e poco democratica. Bisogna rispettare il voto dei tunisini, ma la rivoluzione del 2011 è stata tradita perché la gente non è contenta. Karoui? Non credo gli consentiranno di aggiudicarsi il voto”.
Il giorno dopo le operazioni di voto e la lunga notte al Media Center, ricavato nel Palazzo dei Congressi della capitale, i commenti sono tutti sugli exit poll. Non mancano i primi, timidi festeggiamenti tra l’entourage dei due vincitori virtuali. Nessuno, tuttavia, ha fatto risaltare il dato politico e sociale più rilevante, la scarsa affluenza al voto, appena 45,02%. Quasi venti punti percentuali in meno rispetto alle prime elezioni a suffragio universale disegnate dalla nuova Costituzione post-rivoluzionaria del 2014, quando andò a votare il 64,56 degli aventi diritto. Colpisce il dato dei tunisini all’estero: a votare è andato meno del 20%, dieci punti in meno rispetto al 2014. Particolarmente bassa la percentuale di quelli residenti in Italia, sotto la soglia del 10%. L’aria respirata nella maggior parte dei seggi elettorali della capitale e in alcune aree del Paese non era sembrata delle migliori già dopo le prime ore.
A Citè Khadra, la Jeunesse, Citè Olympique e così via, l’affluenza è stata sonnolenta per tutta la giornata: “Non mi hanno fatto votare perché avevo i pantaloni corti, così ho preso e me ne sono andato e per stavolta il mio voto non l’avranno” dice un pensionato all’esterno della scuola primaria a Bab al-Khadra, la storica porta che immette nel suk di Tunisi. Alle 11 del mattino la percentuale dei votanti è ancora molto bassa: “Nella nostra scuola ha votato meno del 15% degli aventi diritto – afferma Ben Moussa, il responsabile del seggio 8 di Citè Olympique – speriamo migliori nel corso della giornata. Molto dipende dai giovani, quando si sveglieranno dopo il sabato sera”. In effetti in tutte le scuole girate al mattino, dalle 9 a mezzogiorno, la fila è composta prettamente da donne anziane e pensionati: “Sto per votare e ho un’idea abbastanza chiara adesso – confida, commuovendosi durante l’intervista Maheb Mellouli, originaria di Sfax – mentre fino a ieri avevo un dubbio. La mia preferenza va a Nabil Karoui. Un uomo di grandi capacità, non è un politico e tiene al popolo tunisino, tiene ai giovani e ai poveri, tanta gente che cerca di sopravvivere ad una povertà crescente. La rivoluzione? Per il popolo, da allora, non è cambiato nulla”.
La Tunisia, dopo la lunga reggenza di Zine el-Abidine Ben Ali, è passata attraverso una serie di cambiamenti epocali, sfociati con le prime elezioni post-rivoluzionarie. Tra i protagonisti il famoso ‘Quartetto per il dialogo nazionale tunisino’ premiato con il Nobel per la Pace del 2015. Ne facevano parte la Confederazione Tunisina per l’Industria (Utica), la Lega Tunisina per la Difesa dei Diritti Umani (Ltdh), l’Ordine Nazionale degli Avvocati (Onat) e l’Unione Generale Tunisina del Lavoro, l’Ugtt, il principale sindacato del Paese maghrebino: “La nostra associazione non si schiererà mai ufficialmente con uno dei candidati, dobbiamo essere indipendenti nel momento in cui si gettano le basi per un rapporto di lavoro. Non ritengo giusto commentare l’esito, neppure gli exit poll. Posso solo dire che si tratta delle elezioni più importanti della storia tunisina”. Sami Tahri, vicepresidente dell’Ugtt e figura storica del movimento sindacale in Tunisia, non si sbilancia, fino a quando non si parla d’Italia: “L’importante è che il voto garantisca una soluzione democratica per il Paese, a rispetto della Costituzione, tornare indietro dopo le conquiste fatte sarebbe grave – aggiunge Tahri-. Dobbiamo rispettare la parola dei cittadini. L’Italia? Per voi non siamo molto importanti perché in Tunisia non c’è petrolio o altre risorse. Certo, c’è la questione migranti, ma voi ci considerate soltanto come uno Stato di polizia per fermarli e non farli arrivare in Sicilia”. Domenica notte i primi manifesti elettorali sono stati rimossi. Piccoli poster – 50×40 -, un sistema ormai antiquato anche qui in Tunisia. Stamattina la settimana lavorativa è ripresa dopo il fine settimana elettorale. Del ballottaggio si inizierà a parlare nel momento in cui (forse già stasera, domattina al più tardi) l’Isie ufficializzerà i risultati. Il calo di affluenza, alla fine, potrebbe influire anche in vista delle elezioni parlamentari del 6 ottobre prossimo, la vera tornata di assoluto valore politico.