Le indagini coordinate dalla Dda hanno portato alla luce gli interessi del mandamento di Porta Nuova sul controllo e gestione di locali notturni nel palermitano. L'accusa è di estorsione aggravata dal metodo mafioso
Imponevano tariffe e assunzioni tra i ‘buttafuori’ di alcuni night club. Con questa accusa, al termine delle indagini della Dda di Palermo, i carabinieri hanno eseguito un’ordinanza cautelare in carcere nei confronti di 11 persone accusate di estorsione aggravata dal metodo mafioso. L’inchiesta ha portato alla luce gli interessi di Cosa Nostra sul controllo e la gestione di locali notturni nel Palermitano.
Figura di spicco di questa macchina organizzativa, secondo gli inquirenti, era Andrea Catalano che avrebbe sfruttato solidi legami con gli esponenti di vertice del mandamento palermitano di Porta Nuova. Per aggirare la normativa di settore Catalano aveva fondato due associazioni di volontari antincendio nell’ambito delle quali venivano formalmente impiegati, in qualità di addetti antincendio, quei “buttafuori” che a causa dei loro precedenti penali si trovavano nell’impossibilità di ottenere la necessaria autorizzazione prefettizia.
Tra i fedelissimi di Catalano anche Massimo Mulè, ritenuto reggente della famiglia mafiosa di Palermo Centro, arrestato già nelle operazione Perseo del 2008 e Cupola 2.0 nel 2018 poi scarcerato lo scorso agosto dal Riesame: stando alla ricostruzione degli inquirenti, aveva imposto a un imprenditore di un noto locale della movida palermitana l’assunzione come addetto alla sicurezza il cognato Vincenzo Di Grazia. Le lamentele del capo della sicurezza di quel locale, costretto a escludere, a turno, uno degli addetti solitamente impiegati, sarebbero state soffocate dai fratelli Andrea e Giovanni Catalano con minacce pesantissime contro la sua famiglia.