Diritti

‘Non chiamatemi eroe’: le testimonianze di chi reagisce alle ingiustizie

“Nel 2018 sono stati assassinati 321 attivisti per i diritti umani. Più di 3500 sono quelli uccisi dal 1998 a oggi. Il 77% degli attivisti uccisi nel corso del 2018 apparteneva a una comunità indigena o era impegnato nella difesa dell’ambiente.” Chi parla è Guadalupe Marengo, direttrice del Global Human Rights defenderes Programme di Amnesty International, che ricorda anche come sia stato creato un apposito sito per ricordare coloro che sono morti lottando.

Di queste morti non si parla, o magari se ne parla solo quando la persona è un concittadino (vedi il caso di Giulio Regeni). Meglio che cada il silenzio. Parlarne, inevitabilmente, comporterebbe accertare il perché queste persone siano state uccise e significherebbe mettere in dubbio il sistema economico mondiale, ossia il capitalismo, sia che esso sia sostenuto da regimi dittatoriali, sia che lo sia da regimi sedicenti “democratici”. Troppo pericoloso, o per lo meno troppo disturbante.

Altreconomia, piccola casa editrice di Milano, invece non teme e non guarda in faccia a nessuno, ragion per cui ecco questo bellissimo Non chiamatemi eroe. Storie di ribellione, resistenza e coraggio. Per difendere i diritti umani ad ogni costo di Lorena Cotza e Ilaria Sesana. Quindici testimonianze in giro per il mondo di persone o di movimenti che si battono per ciò che è giusto. E molto spesso, come rilevato sopra, quello che è giusto è mantenere l’integrità della terra dove vivi.

Non sono eroi, non vogliono essere definiti tali, semplicemente sono uomini che hanno un alto senso di giustizia e che ritengono di non poter rimanere inerti di fronte ai soprusi delle società in cui vivono. Bellissimo, dicevo, ma anche terribile. Terribile leggere le condizioni di lavoro nelle fabbriche del Bangladesh che lavorano per i marchi della moda. Oppure le lotte contro le grandi dighe, in Colombia, in Cambogia o nelle Filippine, alla faccia delle energie rinnovabili che sarebbero il futuro dell’umanità. Oppure gli haitiani che sono discriminati dai vicini dominicani. Oppure ancora i curdi massacrati dai turchi nell’indifferenza del mondo occidentale (anzi, le nostre imprese fanno grandi affari con lo sviluppo insostenibile del paese di Erdogan).

Ed è ancor più terribile pensare che queste sono solo alcune testimonianze, che la realtà della repressione nel mondo è ancora più vasta, dal Brasile agli Stati Uniti, dalla Russia alla Cina. Ti metti di traverso? Noi ti facciamo fuori, oppure ti mandiamo l’esercito e ci inventiamo che sei un terrorista (spesso succede così e Val di Susa insegna). Dappertutto la stessa storia, con piccole variazioni sul tema, perché “il sistema” è mondiale.

Nessuna speranza? Non è così. Il libro non è stato scritto per piangersi addosso, ma per dimostrare che qualcosa si può e si deve fare, indipendentemente dai risultati che si raggiungono. E talvolta se ne raggiungono. Il monito è “Non subiamo, reagiamo alle ingiustizie”.