Una vita in vacanza in uno spazio distopico pieno di bamba, musica “molto brutta” e (come diceva il bolognesissimo Andrea Roncato) gnocca. Sesso, droga e lavorare è il secondo romanzo de Lo Stato Sociale da oggi nelle librerie per Il Saggiatore di cui il FQMagazine vi offre un capitolo in anteprima. Circa venticinque anni nell’esistenza di Arturo Fonsi: da quando ripete la quarta superiore in un istituto tecnico che non sa (finalmente) di élite cittadina – Bologna, of course – fino al superamento della fatidica soglia dei quaranta con esperienze lavorative fallimentari e una famiglia, con prole, sulle robuste e alcoliche spalle.
C’è ben poco di consolatorio in questo racconto dal tono ironico suddiviso in tanti capitoletti per sostenere un ritmo che vivrebbe comunque anche senza frammentazione strutturale. Una interpellazione continua verso il lettore, ma anche verso un algoritmo che sa di umano e disegna vite altrui con fottuta nonchalance, Arturo ballonzola dentro ad una trama apparentemente ancorata al reale poi sempre più astratta, fantastica, finanche metafisica. Curiosa questa dimensione atemporale, una sorta di lungo presente mutante che trascina la vita da studente bolognese (prima Scienze Economiche poi Lettere) fin dentro al limbo della famigerata maturazione da adulto.
Un click che non ha un punto preciso nella storia, e che in fondo sembra essere cercato senza mai concretamente esistere. Uno slancio personale progressivo tra rapporti sessuali goduriosi, il palesarsi infimo della morte, l’ansia che blocca ogni sbocco positivo. Arturo non è lo stereotipo che ti aspetti. Spiritualmente più giovane Holden che l’Alex di Brizzi, tenta mille strade lavorative, tra le più umili (cin cin per la descrizione del datore di lavoro romagnolo) e le più “precarie”, non si innamora di una ragazza in particolare ma sembra amarne tantissime, e tentenna di fronte al più classico e scazzato andirivieni universitario dove c’è perfino un professore tutto sigarette e cognac, da prendere sul serio il giusto, che parla ancora di rivoluzione. Per fortuna, o sfortuna, che tra i mille lavoretti tutti pomposamente introdotti da colloqui ipermoderni e scenari di successo assicurati, Arturo incontra la OmniWork, una società di lavoro interinale a cui dopo un decennio di mansioni finite male, potrà offrire il suo volto per la campagna promozionale dell’azienda. Fermiamoci qui, perché il gorgo professionale in cui il protagonista finirà ha qualcosa di curiosamente sinistro e orwelliano. Sesso, droga e lavorare in fondo sembra raccontarci proprio il caos e la subordinarietà generazionale dei trentenni odierni di fronte all’impalcatura del mondo e all’intimo “crollo delle certezze o alla loro completa assenza”. Poche smancerie, soprattutto a livello politico, Lo stato sociale (a proposito dopo il collettivo letterario, Wu Ming, sempre bolognese, eccone un altro…) lascia una piccola, buffa e intelligente traccia anche in forma romanzata del proprio poetico sarcasmo. La band sarà in tour a presentare il libro per fino a fine settembre. Qui le date.
L’ESTRATTO DA ‘SESSO, DROGA E LAVORARE’
8. FoodHera
Lascia stare il fatto che l’università fosse piuttosto divertente, la vita da studente era comunque complicata. Considera che pur avendo una casa dove stare, e che quindi non dovevo spendere soldi in affitto, non riuscivo a permettermi più di una birretta presa dal paki e mezzo pacchetto di paglie al giorno. Mi spiego meglio: avevo raggiunto un accordo con i miei per diventare grande, quindi mentre loro si sobbarcavano la retta dell’Alma Mater, io partecipavo alle spese casalinghe grazie al piccolo reddito che mi forniva il lavoretto da casa con LavoriAmo, il quale procedeva liscio e senza grossi mutamenti all’orizzonte. In questo modo però non mi avanzava molto, considerato il mio stile di vita piuttosto godereccio…
Allora decisi di compilare il form per fare le consegne a domicilio per FoodHera, questo colosso locale del cibo a domicilio gestito al 51 per cento dall’azienda multi-utility leader nei servizi ambientali, idrici ed energetici della città. Era una sorta di spin-off del cerchio della vita: portavo pizze, asian fusion, hamburger e così via a casa della gente, loro mangiavano e gettavano gli scarti di plastiche, cartoni, umido e indifferenziato nei loro appositi sacchi casalinghi, che venivano raccolti dalla stessa azienda nei giorni prestabiliti, un giorno diverso per ogni materiale diverso. Inoltre, lo scarto biologico del loro consumo, ovvero merda e piscio, veniva altrettanto gestito dalla stessa azienda, che provvedeva a gestire le fognature, l’approvvigionamento di acqua nelle abitazioni e lo smaltimento dei suddetti scarti per utilizzi agricoli e quindi per la produzione stessa delle materie prime che andavano a comporre i cibi che io portavo a casa della gente: un capolavoro.
Guadagnavo pochissimo ma potevo più o meno fare quello che volevo e quanto bastava per alzare il numero di birre giornaliero da una a quattro e trasformare il mezzo pacchetto di paglie in un pacchetto intero. Fine, non avevo mica bisogno di altro. Gestivo tutta l’attività tramite una app sul mio telefono, non avevo mai parlato con nessuno, avevo semplicemente compilato il form e dopo poco mi era arrivato un codice per scaricare l’applicazione, poi mi iniziarono ad arrivare le consegne da eseguire e per ogni consegna che portavo a termine mi caricavano un euro sul mio Paypal. Se c’avevi molta voglia di lavorare nelle serate di piena riuscivi a fare anche dieci consegne in un’ora. Ma io non avevo molta voglia di lavorare e per fortuna c’erano le mance, grazie alle quali con un po’ di fortuna si riusciva ad annaspare nella media dei sei euro l’ora. Una sera stavo portando una bufala coi peperoni a casa di un avvocato. Ora, forse non lo sai ma se scegli una pizza con due ingredienti così scivolosi mentre sei al ristorante, non c’è problema, è pure buona. Se invece pretendi che ti venga portata a casa da un ragazzo che guida la bicicletta in mezzo al traffico e alle buche della città beh, devi sapere quantomeno argomentare bene la tua scelta e accettare il fatto che non ti arrivi perfettamente integra come se fosse la foto di una pizza sul profilo Instagram delle foto delle pizze più belle del mondo. E infatti l’aveva ordinata un avvocato, secondo me apposta per mettermi alla prova e litigare: deformazione professionale.
«Sì?»
«Pizza.»
«Non abbiamo ordinato nessuna pizza.»
«Avvocato Martelli, via di Portanova 14, quarto piano, interno 14?»
«Ah, sì certo, la pizza! Scusi sa, sono la segretaria, non mi occupo di queste cose.»
«Ci mancherebbe, avrà ben altro a cui pensare.»
«Le chiamo subito il dottore.»
«Guardi non c’è problema, le lascio la pizza, ha già pagato tutto con l’app, siamo a posto, arrivederci.»
In quel momento, guardando più attentamente la ricevuta, mi ero appena reso conto del contenuto del cartone e avevo contestualmente ripercorso nella mia testa il tragitto dalla pizzeria allo stabile signorile dove alloggiava il signore. Avevo nell’ordine:
Sottovalutato la scivolosità del contenuto del cartone lanciandolo con non curanza nel mio cubo-zaino-porta-vivande.
Sopravvalutato i freni della mia bici in occasione di un attraversamento di bambino fuori controllo materno in una zona pedonale, con conseguente sterzata e controsterzata, nette e decise.
Accettato di buongrado di percorrere il lastricato di strada maggiore per risparmiare tempo ma allo stesso tempo produrre sollecitazioni importanti al gustoso quanto viscido carico, a causa del temibile pavé.
Salito su un marciapiede dell’altezza di un cocker spaniel.
Saltato giù dallo stesso.
Litigato con un automobilista che non mi aveva dato la precedenza.
Preso coscienza di essere contromano in un vicolo stretto e fatto uno specchietto a un cheyenne nero per far passare un cheyenne bianco.
Amichevolmente mandato affanculo tutto lo stabile signorile dell’avvocato per l’eccessiva presenza di porte e cancelli.
Ah, inoltre ero inciampato nell’ultimo gradino della prima rampa di scale che aveva uno spessore leggermente diverso rispetto a tutti gli altri gradini, facendo cadere a terra il cartone e sancendo definitivamente il disastro.
I gradini, ingegneri, geometri, muratori, rifinitori, per favore, i gradini: tutti uguali.
«No, macché, l’avvocato ci tiene a darle la mancia!»
«No, guardi non importa, arrivederci.»
E mentre fuggivo scendendo le scale sentii la voce dell’avvocato che mi diceva «Giovane! Non la vuole una bella mancia?» No, avvocato, sapevo benissimo che era una trappola e continuai a scendere le scale di corsa, finché non scivolai su un peperone fuoriuscito dal cartone nel precedente inciampo e battei la testa sull’angolo della ringhiera del corrimano. Persi coscienza e mi ridestai pochi secondi dopo, l’avvocato era lì, seduto di fianco a me assieme alla sua segretaria.
«Giovane, dovresti stare più attento, lo sai che non hai uno straccio di copertura assicurativa con questo lavoro?»
«Eh?»
«Ecco, tieni il mio biglietto da visita, io mi occupo proprio di queste cose.»
«Ma, ehm, la pizza? Acqua? C’è dell’acqua? Ho sete, ho male qui…»
«Sta arrivando l’ambulanza, tranquillo. Se vuoi possiamo far partire subito i procedimenti per una bella causa, questi di FoodHera non sanno contro chi si sono messi! Lo sai quanti di voi altri poveri ragazzi sono costretti a subire lo smantellamento dei diritti del lavoro conquistati in anni di lotte? Lo sai che potremmo fare un bel gruzzoletto se ci mettessimo tutti insieme per fare il culo a questi bastardi?»
«E lei chi è? Un angelo?»
Dissi, senza considerare una singola parola di quello che mi stava dicendo l’avvocato e rivolgendomi alla segretaria. Lei era, in realtà, una signora sulla cinquantina ipertruccata e con labbra e naso visibilmente rifatti, copia di un qualche personaggio televisivo non ben definito ma sicuramente disperato, sicuramente più simile a un demone che a un angelo. Non dovevo stare affatto bene. Quando ripresi un vago senso di lucidità pensai fosse il caso di svignarmela e così feci, salutai lo studio legale, feci logout da FoodHera e raggiunsi il bar più vicino per dimenticare in fretta e trovare conforto in qualche studentessa. Per tutta la serata portai con noncuranza un rivolo di sangue secco sulla fronte, ma nonostante questo, trovai una ragazza da abbracciare per quella notte.