Il patriarca allarga le braccia con benevolenza e parla con accondiscendenza alla donna che gli è seduta di fronte. Sorride e sembra quasi sul punto di dirle “tranquilla, sciocchina” così come sembra non ascoltarla neppure, centrato su ciò che ha da dire.

Il patriarca sta assiso su un cumulo di detriti e residui di una cultura che fonda il dominio maschile e sussurra al suo orecchio stereotipi, pregiudizi, luoghi comuni sulle donne, sull’amore, sugli uomini che uccidono le donne e sul perché lo fanno. La parola violenza e dominio, violazione di corpi e di diritti non fa parte del suo vocabolario perché il patriarca non pronuncia mai la parola femminicidio (userà ad un certo momento le parole “certa azione”). Quei sussurri che orientano il suo punto di vista, lo rendono sicuro e certo di essere il depositario della corretta lettura degli eventi e con quella sicumera sovrascrive con la propria testimonianza, la testimonianza della donna.

La donna è Lucia Panigalli, sopravvissuta alla violenza di un uomo. Il patriarca è Bruno Vespa. Il faccia a faccia avviene, il 17 settembre, negli studi di Porta a Porta durante un’intervista seguita probabilmente da migliaia di telespettatori e telespettatrici. Dallo schermo tv arriva nelle case uno tsunami dei peggiori pregiudizi sulla violenza contro le donne, una narrazione tossica che il movimento delle donne mette in discussione, decodifica, critica, analizza da anni. La versione dei fatti dei patriarchi sul femminicidio la conosciamo bene perché ce l’hanno imposta fin da bambine: “Se subisci violenza avrai commesso qualche errore per suscitare l’ira di un uomo, perché gli uomini hanno diritto di punirti se trasgredisci alle regole che loro hanno fabbricato per te”. Regole e leggi che sono state tessute strettamente sulle nostre menti e sui nostri corpi, sottraendoci spazi, parole e libertà ed è con questo furto che si alimenta il dominio maschile e la sua narrazione. Una manipolazione che distorce il significato del femminicidio con un gioco di prestigio che tramuta la violenza in gesto d’amore, lo stupro in desiderio, il controllo in gelosia.

La rivittimizzazione è violenza.#PortaaPorta #BrunoVespa #giornalismoDEgenere #mediacomplici #paternalismo #violenzasulledonne #femminicidio

Pubblicato da Stefania Anarkikka Spanò su Mercoledì 18 settembre 2019

Bruno Vespa è diretto da una cultura millenaria che gli chiude occhi e orecchie e lo priva di empatia mentre chiede conto a Lucia Panigalli dell’aggressione subìta, come se la donna fosse responsabile di quella violenza. Durante l’intervista le impone più volte la parola amore, banalizza e sminuisce il rischio e la minaccia senza accennare mai alla responsabilità di un uomo “innocente” perché assolto nel secondo processo. Ma prima dell’inizio di una intervista che non avremmo mai voluto sentire, gli autori di Porta a Porta hanno dato una mano di vernice zuccherosa alla violenza brutale e feroce, accompagnando il servizio introduttivo con il sottofondo del brano Bang bang – My baby shot me down aprendo alle domande e alle conclusioni di Bruno Vespa: “Se avesse voluto ucciderla l’avrebbe uccisa… dai!”, “Di che cosa si era innamorata?”, “Quell’uomo era follemente innamorato di lei, al punto da non volerla dividere se non con la morte?” e ancora “quanto è durato il vostro amore?”, “lei aveva un’altra relazione?”. Poi una sortita a solleticare il ventre morboso del pubblico: “L’ha violentata?”, e ancora “Lei è fortunata, è sopravvissuta mentre molte donne vengono uccise“, “E’ fortunata perché è protetta”.

Dopo la messa in onda le attiviste per i diritti delle donne, giornaliste e giornalisti hanno protestato. In una nota congiunta delle Commissioni Pari Opportunità della Fnsi e dell’Usigrai si chiedono “come sia possibile, alla luce del ruolo che la Rai svolge al servizio delle cittadine e dei cittadini, che possa venire tollerata una tale, distorta, tossica rappresentazione della violenza contro le donne. Diciamo all’amministratore delegato Fabrizio Salini e al Consiglio di amministrazione che quanto abbiamo visto nelle due puntate citate è in palese violazione non soltanto delle norme deontologiche e del Manifesto di Venezia, ma del contratto di servizio”.

Bruno Vespa invece si è detto sorpreso e indignato “da alcune reazioni alla mia intervista di ieri sera alla signora Lucia Panigalli. Se c’è una trasmissione che dalle sue origini si è fatta portavoce della tutela fisica e morale delle donne vittime di violenza questa è Porta a porta“. Con la sua trasmissione ha rivittimizzato una donna ed ha reso un pessimo servizio all’informazione e di questo si dovrà assumere la responsabilità anche se millenni di cultura patriarcale gli sussurrano alle orecchie e gli chiudono gli occhi.

@nadiesdaa

Ps. La notte del 16 maggio 2010, Lucia Panigalli subisce una feroce aggressione da Mauro Fabbri col quale ha avuto una frequentazione. Condannato a 9 anni e 4 mesi per tentato omicidio, è uscito con uno sconto di pena, ma in carcere aveva chiesto ad un detenuto di ucciderla. Processato anche per questo fatto, viene assolto grazie all’articolo 115 per il quale se più persone complottano per commettere un crimine che poi non viene commesso, nessuno è imputabile: “Non si può fare il processo alle intenzioni” dicono i giudici nella sentenza. Oggi Mauro Fabbri è uscito dal carcere ed ha acquistato la libertà ma Lucia Panigalli l’ha persa. Ogni volta che esce di casa deve avvisare i carabinieri (almeno un’ora prima) perché quell’uomo vive vicino a lei.

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