A piazza Don Bosco, la stessa dove venne negato il funerale a Piergiorgio Welby, l'evento/concerto dell'Associazione Coscioni per chiedere che il Parlamento legiferi sul tema del fine entro il 24 settembre, giorno in cui è attesa la pronuncia della Corte Costituzionale sull'istigazione al suicidio. Un reato per cui Cappato e Mina Welby rischiano dai 5 ai 12 anni di carcere
“Quasi 800 persone si sono rivolte a Mina Welby e a me per chiedere di poter morire e avrebbero potuto prendere una decisione diversa se fossero state assistite da un medico, uno psichiatra, un assistente sociale. Questa lotta di libertà una volta che l’avremmo vinta ci potrà far alleare con coloro che oggi sembrano essere i più acerrimi nemici“. Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, parla in conferenza stampa poco prima dell’inizio del concerto/evento Liberi fino alla fine a piazza San Giovanni Bosco a Roma. Un’iniziativa per chiedere un segnale al Parlamento che, secondo quanto indicato dalla Corte Costituzionale, dovrà colmare il vuoto di tutele sul tema del fine vita attualmente presente nella nostra Costituzione entro il 24 settembre.
Insieme a lui c’è anche Mina Welby moglie di Piergiorgio, che dopo la morte del marito ha proseguito il suo impegno sui temi dell’autodeterminazione e delle scelte di vita e fine vita. Per lei piazza Don Bosco è una scelta simbolica, visto che proprio in questa piazza fu negato il funerale al marito. Chiede che “sia data a tutti i cittadini italiani una legge che possa far morire in Italia, a casa propria, perché l’eutanasia non è per tutti ma per casi particolari, per evitare sofferenze inutili contro la propria volontà” e ricorda che si tratta di “una battaglia di civiltà e laicità”. E sottolinea che “il nostro Stato è laico, non uno Stato della Chiesa, lo dico da cattolica“.
La pronuncia attesa dalla Consulta è legata alla vicenda giudiziaria che coinvolge Cappato per l’assistenza al suicidio assistito offerta a Fabiano Antoniani, Dj Fabo. Al centro c’è la questione della costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale, ossia il reato di istigazione al suicidio. Un reato per cui Cappato e Mina Welby rischiano dai 5 ai 12 anni di carcere. La Consulta a ottobre scorso aveva dato un anno di tempo al Parlamento per emanare una legge, ma la discussione da allora non è mai decollata. Sulla sentenza prevista per il 24 settembre è intervenuta la Cei, che ha chiesto al Parlamento di legiferare nel timore che si possa andare verso la legalizzazione del suicidio assistito e la presidente del Senato Elisabetta Casellati con una chiamata informale agli ermellini. Atto che Cappato ha definito “del tutto abusivo rispetto alle competenze e ai poteri di un presidente di assemblea. C’è chi in queste ore si sta mobilitando nei corridoi dei palazzi dall’una e dall’altra parte del Tevere – ha proseguito – per cercare di impedire alla Corte Costituzionale di decidere. Sono passati 6 anni da quando abbiamo depositato la nostra proposta di legge. Per 6 anni non è stato fatto nulla in Parlamento e adesso, a 6 giorni dalla pronuncia, c’è chi si muove non per fare una legge in Parlamento, ma per far finta di fare una legge e cercare così di ostacolare il lavoro della Corte. A loro diciamo: noi andiamo avanti sicuri che questa battaglia si vincerà”. Cappato, nel corso della conferenza stampa, ha inoltre citato Marco Pannella che diceva “i nostri veri nemici sono gli indifferenti. Sono quelli che dicono di essere d’accordo noi e magari per sei anni non hanno mosso un dito per ottenere una legge per vivere liberi fino alla fine. Ai nostri avversari diciamo: noi saremo alleati – ha proseguito – , lo siamo già per le cure palliative, per l’assistenza ai malati, per l’assistenza ai disabili per la ricerca scientifica. Assistenza che deve essere sempre fornita alla luce del sole e non nella clandestinità cui il proibizionismo costringe”.
L’evento – Neri Marcorè conduce la manifestazione dalle ore 17 alle ore 23. A sei anni dal deposito della proposta di legge di iniziativa popolare “EutanasiaLegale” Marco Cappato e Filomena Gallo – tesoriere e segretario dell’Associazione di riferimento in Italia sul tema dell’autodeterminazione, delle libertà civili e della libertà di ricerca scientifica -, insieme a Marcorè accolgono sul palco artisti e protagonisti del mondo culturale e giornalistico nazionale come Luca Barbarossa, Roy Paci, Nina Zilli, Pau e Mac dei Negrita, il dj Claudio Coccoluto, Kento + dj Fuzzten, Andrea Delogu, Giulio Golia, Giulia Innocenzi, Selvaggia Lucarelli, Francesco Montanari, Il Muro del Canto, Stella Pende, dj Marc Robijn, Emanuele Vezzoli, Enrico Zambianchi insieme a tanti altri nomi in via di definizione. L’evento ospiterà anche le testimonianze di Mina Welby, Beppino Englaro, Valeria Imbrogno, Mario Riccio, Chiara Rapaccini (compagna di Mario Monicelli) e i parenti degli altri attivisti che negli anni passati hanno combattuto pagando sulla propria pelle la mancanza di una legge sul fine vita.
Gli interventi, da Valeria Imbrogno (compagna di Dj Fabo) a Chiara Rapaccini (compagna di Mario Monicelli) – “La mia presenza qui è perché questa battaglia è stata portata avanti sin dall’inizio da Fabiano. Battersi per la propria libertà ne è il motivo. Non si tratta di eutanasia o altro, è libertà di poter scegliere per se stessi. E fondamentale questo”, dice dal palco Valeria Imbrogno, compagna di Dj Fabo, Fabiano Antoniani. “Di conseguenza anche tutto quello che ha fatto Marco – aggiunge – ci ha aiutato a batterci per la libertà di Fabiano e di conseguenza poi per tutti gli italiani. La causa da privata ha toccato poi i cuori di tutti perché sono le libertà di tutti. Credo che debba essere una battaglia sovrapartitica, sovrapolitica. È una battaglia che appartiene a tutti noi. Indipendentemente dal credo, perché è una battaglia per la libertà”. “Fabiano – ha detto Imbrogno – vedeva nella musica una forma di libertà e in realtà nella forma di libertà si unisce alla lotta per la libertà dei propri diritti. Che è quello che poi ha portato avanti. L’evento è costruito su questa base: la musica, l’arte e la libertà”. Sul palco di Liberi fino alla fine è intervenuta anche Chiara , conclude. – “Mario si è tolto la vita, si è suicidato (si lanciò dal quinto piano del reparto di urologia dell’ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato, ndr) -. Non ha a che fare con l’eutanasia, ma io sì perché sono qui a sostegno. Il suo gesto è stato pienamente rispettato da parte della famiglia e da tutti i colleghi del cinema, semplicemente perché a un certo punto ha pensato alla dignità della sua vita. Credo che la soglia per lui sia stato quell’attimo in cui la sua vita, da vecchio e da malato, non era più dignitosa. E ha deciso in una maniera personale e che non discuto e di cui non parlo oltre. Io sono per la dignità – ha aggiunto – sono per una legge sull’eutanasia. Credo che questo Paese abbia bisogno di un rapporto con la morte, in modo tale che la laicità naturale del concetto di morte porti a un atteggiamento meno cupo. Quindi di accettazione. Quindi per una legge sull’eutanasia anche in nome di Mario“.