I tre sono stati formalmente identificati, dopo richiesta al Viminale, per ciò che segui l’episodio, quando un giornalista di Repubblica cercò di riprendere la scena
Gli sviluppi del caso erano nell’aria da qualche giorno. Sono stati interrogati ieri in Procura a Ravenna alle presenza dei loro avvocati, da indagati, tre poliziotti della scorta dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, sull’episodio verificatosi a Milano Marittima, il 30 luglio quando il figlio del leader del Carroccio fece un giro in mare su una moto d’acqua della Polizia pilotata da un agente.
I tre sono stati formalmente identificati, dopo richiesta al Viminale, per ciò che segui l’episodio, quando un giornalista di Repubblica cercò di riprendere la scena. Hanno risposto alle domande degli inquirenti fornendo la loro versione dell’accaduto. Sulla vicenda, la Questura di Ravenna nelle settimane scorse aveva concluso l’accertamento interno scattato sin da subito, inviando per competenza gli atti alle Questure di Roma e di Livorno alle quali appartengono rispettivamente i tre agenti della scorta e i due poliziotti incaricati della moto d’acqua. A quel punto la Procura ravennate aveva già aperto un fascicolo sull’accaduto: due i reati ipotizzabili, violenza privata, tentata o consumata e peculato d’uso.
“Mio figlio sulla moto d’acqua della polizia? Errore mio da papà“, aveva spiegato qualche ora dopo l’accaduto l’allora vicepremier Salvini, di fronte alle polemiche dell’opposizione. Poi aveva aggiunto che “nessuna responsabilità va data ai poliziotti, che anzi ringrazio perché ogni giorno rischiano la vita per il nostro Paese”. Su quanto successo però erano da subito scattate le verifiche della Questura di Ravenna per accertare un eventuale uso improprio della moto d’acqua.