È la montagna d’oro a cui tutti i governi vorrebbero attingere: 107 miliardi di euro di evasione fiscale, l’equivalente di almeno quattro leggi di bilancio. Ed è solo una stima. Per scalfirla finora si è fatto poco, tra condoni per il rientro del sommerso e retromarce della politica sul tetto all’uso dei contanti (cambiato sei volte solo negli ultimi 15 anni). Ma il premier Giuseppe Conte ha assicurato ai sindacati che è una priorità. E una possibilità reale con le nuove tecnologie in mano alla pubblica amministrazione, alle banche e all’Agenzia delle entrate. Un processo iniziato con la fatturazione elettronica, lo scontrino telematico e il nuovo Evasometro e che non a caso il neo-ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, nella sua prima uscita pubblica all’Ecofin di Helsinki, ha dichiarato di voler subito rafforzare “per modernizzare il Paese”.
Le opzioni sul tavolo sono tante. Prima su tutte la proposta di Confindustria di introdurre una commissione sui prelievi in contanti, in parallelo a un incentivo per i pagamenti che avvengono con carta di credito e bancomat. “Questo meccanismo, così com’è stato presentato, potrebbe essere molto pericoloso per i conti pubblici”, dice a Ilfattoquotidiano.it Dario Stevanato, avvocato e ordinario di diritto tributario a Trieste. “Se una norma del genere fosse approvata e poi finisse davanti alla Consulta, non passerebbe assolutamente”, gli fa eco Mario Esposito, docente di diritto costituzionale all’Università del Salento. “Non si può presumere a priori che tutti siano degli evasori. Per non parlare del fatto che la moneta ha una funzione pubblica, così invece si rischia quasi di privatizzarla”. La viceministra al Tesoro Laura Castelli si è già detta contraria alla ipotetica nuova tassa, ma non agli incentivi per i pagamenti cashless, anticipando una parte delle misure contro l’evasione che potrebbero essere inserite nella prima manovra a tinte giallorosse.
La proposta di Confindustria su tassa allo sportello
Il Centro studi di Confindustria (Csc) ha immaginato un intervento a doppio binario. Da un lato introdurre una commissione del 2 per cento sui prelievi allo sportello superiori ai 1.500 euro mensili, dall’altro garantire a chi paga cashless un credito d’imposta del 2 per cento su ogni acquisto. “Il consumatore paga il prezzo pieno, ma accumula un credito che verrà contabilizzato e comunicato dalla banca” all’Erario, si legge nel documento diffuso dal Csc. In sede di dichiarazione dei redditi, quindi, quel “tesoretto” potrebbe trasformarsi in una sorta di detrazione fiscale o in un “cashback” che il cittadino si vedrebbe riaccreditato sul conto corrente. Grazie alla prima misura, lo Stato potrebbe recuperare 3,4 miliardi l’anno da destinare proprio al finanziamento della seconda, il cui costo è stimato in circa 2,8 miliardi per il 2020 e 1 miliardo nel 2021, per poi virare “in positivo” (nuove entrate maggiori rispetto alle uscite) per effetto del progressivo emergere dell’evasione. L’obiettivo, in parole povere, è quello di cambiare le abitudini degli italiani, ancora troppo affezionati al contante. Il nostro Paese, infatti, secondo l’ultimo report della Bceè fanalino di coda in Europa per pagamenti cashless (46,2 transazioni pro-capite all’anno, contro una media dell’Eurozona superiore a 100). “Ciò ha un impatto sia sui costi di gestione del contante, sia sulla maggiore diffusione dell’evasione fiscale”, scrive ancora Confindustria. “Infatti il contante è semplice da usare e difficile da tracciare e questo facilita l’occultamento di parte del reddito prodotto”.
“Dubbi di costituzionalità e pericolo per i conti pubblici”
La proposta ha subito sollevato polemiche, tra chi denuncia il rischio di contrazione dei consumi (Confesercenti) e chi crede invece che gran parte dell’evasione avvenga “senza contante, semplicemente manipolando i bilanci delle imprese” (l’ex ministro Vincenzo Visco). Secondo il costituzionalista Esposito, però, c’è un punto da cui non si può sfuggire: “Ogni imposta, affinché sia tale, deve avere un fondamento ragionevole, come si dice in gergo. In questo caso quale sarebbe? La lotta all’evasione? Ma se io sono un contribuente onesto, perché devo pagare anche per chi froda il fisco?”. A suo parere, infatti, “lo Stato non può addossare indiscriminatamente a tutti i cittadini questa sorta di pena anticipata. Oltre al fatto che favorendo bancomat e carte di credito si rischia di dare una spinta alla privatizzazione della moneta a favore delle banche, riducendone addirittura il valore nominale con la trattenuta del 2 per cento”. Insomma, conclude il docente, “i dubbi di costituzionalità sono tanti. Questa ostinazione a scoraggiare il contante puzza quasi di bruciato, il fine reale sembra essere un altro. Di certo la grande evasione non passa dai prelievi al bancomat”. Molto critico anche Stevanato, che raggiunto dal Fatto.it spiega: “Per quanto riguarda la cosiddetta commissione sui prelievi, c’è un primo problema di natura tecnica. Non può essere definita una commissione, perché altrimenti resterebbe in mano alle banche, né una sanzione, dato che non si capisce quale sarebbe la violazione da parte del consumatore”. L’unica soluzione, continua il docente, è quella di considerarla un’imposta a tutti gli effetti. “In tal caso sarebbe una patrimoniale, però senza la progressività necessaria. Chi tiene in banca 100mila euro senza prelevarli non sborsa un centesimo, chi ne ha 3mila e li ritira allo sportello poi è costretto a pagare”.
Castelli (M5s) e le ipotesi del governo: via le commissioni, sanzioni a chi non ha il Pos, cashback
Tra le fila del neonato governo M5s-Pd non si è fatta attendere la presa di posizione della viceministra pentastellata Castelli, intervistata dal quotidiano ItaliaOggi: “La proposta di mettere una quota su quanto prelevato allo sportello non esiste in questo ministero, e non esiste nella nostra testa. Esiste invece uno studio per agevolare i pagamenti elettronici”. Come? La risposta l’ha data ai microfoni di SkyTg24 Economia, spingendosi addirittura oltre all’incentivo teorizzato da Confindustria: “Si può fare meglio del credito d’imposta, si può permettere un recupero mensile dell’incentivo (appunto il cashback), il processo tecnologico lo permette”. Una soluzione che per ora lascia irrisolto il nodo coperture, ma sembra piacere anche ai dem. Dalle parti di via XX Settembre, intanto, si sta ragionando ormai da mesi anche su altro. Azzerare le commissioni interbancarie a carico degli esercenti per i micro-pagamenti, ricorrere ad algoritmi che permettano di stanare i furbetti (come quello alla base del nuovo evasometro, autorizzato anche dal garante della Privacy), abbattere il costo dei Pos e, soprattutto, attivare le sanzioni (già previste dal 2011 ma mai regolate con una legge apposita) per chi non rispetta l’obbligo di installazione degli stessi terminali. Un pasticcio che il governo Conte 1 aveva più volte promesso di risolvere, senza mai riuscirci davvero. Palla che ora passa al Conte 2, il quale sembra voler accelerare il lavoro iniziato dal precedente esecutivo.
Quel che è certo, infatti, è che l’utilizzo dei nuovi strumenti informatici nella lotta alle frodi fiscali sta già dando i suoi primi frutti. L’estensione della fatturazione elettronica obbligatoria anche fra i privati, ad esempio, ha generato nei primi sei mesi del 2019 un extra gettito Iva di circa 2 miliardi, nonostante la stagnazione dell’economia. Manna dal cielo per Palazzo Chigi che a fine anno dovrà far quadrare i conti pubblici, tra saldi concordati con Bruxelles e manovra di bilancio. Con la speranza che, grazie alle prossime misure, quella montagna d’oro chiamata evasione possa cominciare a sgretolarsi davvero.