di Paolo Bagnoli

Nel giudizio di tutti, con il nuovo governo, l’Italia volta pagina. L’autogol della Lega che, per salviniana bramosia di onnipotenza, ha fatto come i pifferi di montagna i quali, andati per suonare, furono invece suonati, ha sventato il rischio di una deriva pericolosa. Oggi non è più al governo una forza razzista e antieuropea cui, nel governo precedente, i 5Stelle hanno fatto da stampella lasciandole spazi mediatici e politici sterminati.

Il presidente del Consiglio, subentrato a se stesso, nei trascorsi 14 mesi si è raffigurato in Parlamento come una specie di “strumento cieco di occhiuta rapina”, sfogando la propria rabbia quando il vecchio partner di governo se ne era andato. Un comportamento non bello; Giuseppe Conte continua a essere un personaggio misterioso che gioca una sua propria partita con fine solo se stesso. Nel discorso fatto alle Camere per la presentazione del secondo gabinetto da lui presieduto è stato scialbo, insipido, senza nessun scatto d’ala; la verniciatura politica della nuova fase rimane oscura. Quando parleranno i fatti si potrà capire meglio.

Il Partito democratico, dal canto suo, non passa giorno che non spalmi incenso profumato sul governo. Lo si può capire. Sicuramente ha fatto bene nell’impegnarsi nell’operazione che avrà successo se riuscirà a impedire che la destra salvinian-berlusconian-meloniana diventi la forza centrale della Repubblica. Ha compiuto una scelta di emergenza democratica; ora dovrà estrinsecarsi in politiche connotabili e correttive dei guasti provocati dall’alleanza gialloverde; non sarà facile visto che continua a raffigurare la nuova alleanza come dal respiro strategico.

Sicuramente gioverebbe una maggiore prudenza nel rappresentare una quaresima come un carnevale. Il partito di Nicola Zingaretti non poteva tirarsi indietro, ma si è trattato di una scelta di necessità e questa non è assolta dalla sola nascita della nuova maggioranza. Dentro la condizione della necessità molte sono le insidie strutturali che possono, nel medio periodo, creare seri problemi.

Una riguarda lo stesso Partito democratico che, per la propria sbiadita identità, non è riuscito a segnare la svolta in modo convincente, badando soprattutto a conquistare quei ministeri che possano garantirgli un ruolo pesante. Niente di male, naturalmente; gli strumenti sono fondamentali, ma la direzione non può essere approssimativa dopo le sbandate inferte al Paese e alla sua credibilità per opera di Matteo Salvini. Vediamo cosa succederà sull’immigrazione, sulla sicurezza e sulla legge elettorale; una questione, quest’ultima che, per giustificarsi, tira in ballo la Costituzione e la sua riforma.

La legge elettorale va rifatta, ma andrebbe pensata su un pensiero largo; certo, se si pensa che i dirigenti dell’allora Ds e della Margherita fecero un partito e dettero vita a un sistema maggioritario per fare il nuovo partito, più che pensieri larghi ne vediamo di corti. Ci domandiamo: ma è proprio il caso, nel contesto attuale, porre all’ordine del giorno il rimettere le mani alla Costituzione? Come si può ritenere che due forze così diverse, con un Parlamento sostanzialmente silente, un dibattito serio anch’esso assente nel merito, possa partorire un’idea dell’Italia solida e istituzionalmente diversa da quella attuale rischiando un salto nel buio?

Certo che l’Italia va migliorata, ma basterebbe sviluppare una vera politica di senso democratico: un qualcosa che manca da più di un quarto di secolo. Il Pd, a tratti, dà l’impressione di essere una forza impaurita, in preda al timore di potersi sgretolare da un momento all’altro e, infatti, la scissione di Matteo Renzi è avvenuta.

Quando Dario Franceschini propone ai grillini di saldare un patto per le Regioni e gli enti locali, non lo fa inseguendo un’idea dell’Italia, ma palesa il timore che quanto resta del potere locale in mano ai democratici possa andare perduto. È una paura che dà coraggio, ma perché i grillini, viste le condizioni in cui versano, dovrebbero salvare il Pd dalla propria irrisolutezza? Poi, certo, tutto può succedere, ma ogni possibile sviluppo rimane avvolto nell’oscurità, giocato in dichiarazioni di ruolo, senza quei contorni precisi che fanno di un ragionamento un disegno politico.

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