La presunta promessa di incarichi professionali del valore di 450mila euro in tre anni. È questa l’accusa più grave che la procura di Roma ha formulato nei confronti di Giovanni Caudo, assessore capitolino all’Urbanistica ai tempi del sindaco Ignazio Marino e attuale presidente del III Municipio, perso dal M5s nel giugno 2018 quando Caudo fu eletto nella coalizione di centrosinistra a guida Pd. La vicenda è quella del progetto di riqualificazione delle cosiddette “torri dell’Eur”, realizzate negli anni ’60 dall’architetto Ligini e poi deterioratesi al punto di guadagnarsi il soprannome di “Beirut”. L’indagine comprende anche la riqualificazione di palazzo Raggi, dove fra gli indagati è presente l’ex editore de Il Tempo, Domenico Bonifaci.

Le Torri dell’Eur e lo stop di Cattaneo – Gli edifici sono attualmente di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti. Nel 2015 la giunta Marino aveva dato l’ok al piano di riqualificazione proposto da Telecom Italia che ne avrebbe voluto fare la propria sede e definito un “progetto senza speculazione edilizia dallo stesso Caudo”. Il progetto, in realtà, fu messo in dubbio e bloccato, quasi subito, dall’allora consigliere e successivamente ad di Telecom Italia, Flavio Cattaneo. Vicenda culminata nel 2016 con la revoca, da parte della sindaca Virginia Raggi e del suo assessore Paolo Berdini, del permesso a costruire.

Ebbene, secondo i magistrati romani, che hanno appena comunicato la chiusura delle indagini preliminari, l’ex assessore avrebbe “indebitamente” accettato la promessa “a vantaggio proprio e/o di altri” di incarichi professionali da parte dell’ex presidente di Cassa Depositi e Prestiti, Giovanni Maria Paviera, “anche attraverso progetti affidati all’università La Sapienza, presso la quale insegnava il prof. Caudo” e in particolare “a suoi colleghi, alcuni dei quali aveva fatto partecipare alla verifica della congruità dei progetti presentati da Tim”. Caudo avrebbe dunque “agevolato la pratica edilizia presentata presso gli uffici comunali dalla società Alfiere”. Per gli inquirenti, l’attuale minisindaco del III Municipio avrebbe anche “fatto risultare l’inesistenza di vincoli gravanti sul Fosso di Tre Fontane” nonché “celato l’esistenza di documenti all’autorità di Bacino del fiume Tevere all’avvocatura capitolina che doveva esprimere al riguardo il parere”.

Il centro commerciale a Santa Susanna – Altro caso sotto i riflettori degli inquirenti è quello relativo al progetto residenziale di largo Santa Susanna, zona centralissima della Capitale fra piazza della Repubblica e via Veneto. Secondo i magistrati, Caudo avrebbe impedito la realizzazione di “un grande centro commerciale di livello urbano culturale/commerciale con servizi e spazi espositivi” al fine di “favorire gli interessi economici e commerciali della soc. Residenziale Immobiliare 2004 riconducibile a Cassa Depositi e Prestiti”, nonostante il primo progetto fosse contemplato dal precedente accordo di programma.

Bonifaci e l’appartamento alla figlia della dirigente – Fra le 12 persone indagate dalla procura di Roma c’è anche il costruttore Domenico Bonifaci, noto a Roma per essere stato fino al 2016 l’editore del quotidiano Il Tempo. Secondo chi indaga, Bonifaci otteneva notizie da alcuni dirigenti e funzionari del dipartimento di Programmazione urbanistica del Campidoglio, quali Antonello Fatello, Francesca Giannini ed Elisabetta Gasperini. La vicenda su cui si è focalizzata l’inchiesta è il progetto di riqualificazione di palazzo Raggi, importante edificio di pregio di via del Corso nelle mire del costruttore abruzzese.

Giannini, in particolare, avrebbe ricevuto in cambio della sua disponibilità “l’agevolazione nell’acquisto di due appartamenti del gruppo Bonifaci ubicati in zona Acqua Acetosa Ostiense ad euro 3291,30 per pagare un decreto ingiuntivo”, mentre Fatello “otteneva agevolazioni consistite nell’acquisto di un appartamento del gruppo Bonifaci da parte del nipote Federico Bussoletti”. Gasperini, infine, secondo gli inquirenti, “riceveva da Bonifaci la somma di almeno 20mila euro per ‘levare’ il mutuo e l’ipoteca dell’appartamento venduto dal gruppo Bonifaci a Eleonora Sannibale (figlia della Gasperini) a prezzo di favore (con uno sconto di circa 70mila euro)”, nonché “l’esecuzione di lavori nel citato appartamento a opera degli operai delle società di Bonifaci e la consegna di 3mila euro in contanti” oltre al “pagamento da parte del gruppo Bonifaci delle spese notarili della compravendita dell’immobile”.

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