Se proprio avete qualche risparmio da parte e credete nel mercato immobiliare (case, ville, opifici eccetera), ma non potete realizzare il sogno della vostra vita, allora investite in una multiproprietà: ma non lasciatevi abbagliare dalle sirene dei fondi immobiliari. Così almeno potrete godervi una vacanza in un bel posto, mentre con un fondo immobiliare rischiate di non andarci mai più in vacanza! Ma forse neppure in pensione!

I fondi immobiliari, che negli ultimi vent’anni hanno accumulato notevoli perdite, oggi compaiono poco tra le offerte delle banche (ho detto “poco”, ma non sono scomparsi!), mentre li ritroviamo in quantità industriale nei fondi pensione e anche nelle casse previdenziali dei lavoratori autonomi: Enasarco, Enpam, Enpap, Inarcassa, eccetera. Pertanto milioni di italiani sono obbligati, solo perché iscritti a una di queste casse, a tenersi sul groppone investimenti senza averli scelti e magari senza sapere quanta spazzatura stanno comprando con il proprio sudore.

A tal proposito vi consiglio di chiedere sempre quanta parte del capitale di un fondo pensione è investito in fondi immobiliari. Se supera il 3%, non sottoscrivete nulla! I fondi immobiliari entrano in scena alla fine degli anni novanta. Si tratta di un prodotto finanziario di investimento che dovrebbe permettere, a chi possiede qualche risparmio da far fruttare, di acquistare quote di un patrimonio immobiliare. Ma per capirne la portata speculativa è meglio spiegare di che cosa si tratta.

Il concetto che vi sta dietro è: se non posso comprarmi una villa al mare, almeno me ne compro un pezzo. Tuttavia, si tratta di un tipo d’investimento molto restrittivo, definito “chiuso” perché prevede il rimborso della quota investita solo al raggiungimento di una certa scadenza, che di solito è minimo di dieci anni! Prima di allora, quindi, non potrete riavere indietro i vostri soldi. Soprattutto, è un prodotto poco chiaro che non è mai oggetto di alcuna attenzione da parte degli organi di controllo per la violazione della legge sulla trasparenza bancaria.

C’è però un’eccezione: è possibile acquistare o vendere quote sul mercato purché vi sia una negoziazione, cioè se quel fondo viene quotato in borsa. Attenzione però: a quanto detto si aggiunge il fatto che i fondi immobiliari, sebbene spesso quotati in borsa, restano comunque strumenti molto poco “liquidi”, cioè poco vendibili rispetto a titoli di Stato, obbligazioni e azioni. Pertanto potrebbe essere più difficile trovare a breve una controparte che compri. Questo implica che spesso ci si deve accontentare di un valore inferiore a quello della propria quota, cosa che certamente i risparmiatori non sanno, altrimenti di fondi se ne venderebbero assai meno.

Ora capite perché in questi ultimi anni sono state chieste così tante proroghe alle scadenze dei numerosi fondi in circolazione. Perché alla scadenza, che come ho detto è dopo almeno dieci anni, quei risparmi avevano un valore inferiore a quello che avevano quando sono stati investiti. I giornali hanno spesso dato risposte fumose e tecniche che non sono certo servite a orientare il risparmiatore, anzi gli hanno lasciato una residua speranza di guadagno, che però è presto scemata.

I fondi immobiliari sono prodotti a rendimento non garantito, ma le cui spese a carico del cliente sono assicurate e sono di due tipi: la commissione di sottoscrizione, che di solito varia dall’1% al 4% in base all’importo investito, e la commissione di gestione, spesso “scalettata” secondo una progressione che mediamente prevede l’1% per il primo anno e l’1,5% all’anno dal secondo in poi.

Ma quanto rendono i fondi immobiliari? È un dato difficile da calcolare, poiché solo i fondi cosiddetti “retail“, cioè quotati in borsa e destinati ai risparmiatori, hanno l’obbligo di dichiarare la performance. Scenari Immobiliari, istituto indipendente di studi e ricerche che analizza i mercati immobiliari in Italia e in Europa, per il 2017 parla di un rendimento dei fondi retail e di alcuni fondi riservati pari allo 0,4%: in lieve miglioramento rispetto allo 0,2% del 2016, ma comunque piuttosto risicato.

Insomma, calcolate voi la differenza tra i costi certi (commissioni) e i ricavi (incerti e poco trasparenti) e non ci sarà bisogno di Warren Buffett per capire che è meglio stare alla larga da questi prodotti.

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