La famiglia di Martina Piccinini è composta da quattro persone e hanno prodotto solo tre sacchetti di rifiuti indifferenziati nell’ultimo anno. Martina è parte di una delle 56 famiglie a rifiuti zero, che ha aderito al progetto del Centro di ricerca Rifiuti Zero, del Comune di Capannori, nato grazie all’impegno della comunità locale e di Rossano Ercolini, 64 anni, maestro elementare, scrittore e vincitore nel 2013 del prestigioso Environmental Goldman Prize, considerato il Nobel dell’ecologia.
Un comune toscano di 46mila abitanti, all’avanguardia per le buone pratiche di gestione dei rifiuti, che ha superato l’81% nella differenziata e per tutto il resto punta sull’economia circolare. “Dobbiamo essere parte della soluzione al problema, non basta dire di no”, spiega Ercolini, “Due volte al mese analizziamo dei sacchi campione di rifiuti indifferenziati prodotti a Capannori, così abbiamo fatto una lista di 24 prodotti che non hanno alternative allo smaltimento, come le penne a sfera e gli scontrini, e testiamo le possibili alternative sostenibili. Sia la cittadinanza che i produttori devono fare la loro parte, quindi scriviamo lettere alle aziende produttrici per stimolarle a progettare dei prodotti che siano compatibili con la gestione degli scarti. È possibile adesso uscire dall’incanto malefico dell’usa e getta, soprattutto della plastica”.
Raccolta dei rifiuti porta a porta con tassazione differenziata e quattro centri per il riuso e il riciclo, localizzati al lato delle isole ecologiche, dotati di falegnameria, ciclofficina e sartoria, per dare un’ultima opportunità a tutto quello che si può aggiustare, sistemare o trasformare per poi rivenderlo nell’emporio o regalarlo alle famiglie bisognose. “Vogliamo dare una nuova vita agli oggetti, creando occupazione per le persone svantaggiate, innescando un circolo virtuoso”, racconta Daniele Guidotti, gestore del Centro per il Riuso Solidale Daccapo e musicista della Gaudats Junk Band, che suona strumenti riciclati, come le chitarre ricavate da cassette per il vino, “gli oggetti di seconda vita hanno anche da raccontare una storia, un vissuto affascinante”, conclude Guidotti, “è necessario innescare un cambiamento culturale”