Il tema è di quelli affrontati più volte, e con le stesse risultanze: in caso di hard Brexit, per cui salvo rinvii rimane fissata la data del 31 ottobre, si perderebbero miliardi di euro e milioni di posti di lavoro. A sottolineare i rischi di un crollo sistemico degli investimenti e della catena di produzione britannica ci ha pensato più volte, in passato, l’associazione costruttori inglese SMMT.

Ora, il grido di dolore viene anche da una dichiarazione congiunta firmata dai capi di 23 tra associazioni europee dei costruttori e dei fornitori automobilistici, oltre che da 17 associazioni nazionali automotive operanti in Europa, che sottolineano come un’uscita senza accordo della Gran Bretagna dall’UE avrebbe conseguenze nefaste, perché “innescherebbe un cambiamento sismico nelle condizioni commerciali, con miliardi di euro di costi che minacciano di influenzare la scelta dei consumatori e l’accessibilità economica su entrambi i lati della Manica”.

Il problema principale è l’interruzione della catena di approviggionamento tra l’isola e il continente. Il che provocherebbe seri problemi alla produzione: ogni sua interruzione, sottolineano i costruttori, costerebbe 50.000 sterline al minuto alla sola Gran Bretagna.

E sarebbero inevitabili ripercussioni anche su quei 13,8 milioni di persone impiegate nel settore automotive europeo, ovvero il 6,1% della forza lavoro totale del vecchio continente. A farne le spese maggiormente, come immaginabile, sarebbe proprio il Regno Unito, sul cui suolo operano stabilimenti di costruttori importanti come Honda, Nissan, Bmw e gruppo Psa, solo per citarne alcuni.

E anche dalla Germania, il paese che ha maggiori interscambi automobilistici con la Gran Bretagna, è arrivato il monito della potente lobby VDA, per bocca del suo numero uno Bernhard Mattes: “Le industrie automobilistiche dell’UE e del Regno Unito necessitano di un commercio senza attriti e sarebbero gravemente danneggiate da ulteriori doveri e oneri amministrativi su parti e veicoli automobilistici”.

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