Era il 10 giugno 2018. Quel giorno Matteo Salvini aveva dato il via alla “politica dei porti chiusi“, impedendo l’attracco della nave Aquarius con 629 persone a bordo e inaugurando la narrazione che nei mesi successivi avrebbe caratterizzato la sua gestione del ministero dell’Interno: con noi al governo in Italia non arriva più nessuno. I numeri, però, raccontano una realtà ben diversa.
Tra il 1° giugno 2018 e il 19 settembre 2019, con il segretario del Carroccio alla guida del Viminale fino al 20 agosto, si sono verificate 25 “crisi in mare”, eventi in cui le navi delle ong è stato negato l’approdo in un porto italiano. Analizzando i 10 casi verificatisi lo scorso anno – ha calcolato l’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale che ha tenuto il conto degli sbarchi dell’ultimo anno – emerge che in due occasioni le imbarcazioni sono effettivamente sbarcate in Italia, due in Spagna e sei a Malta. Nel 2019 la tendenza è cambiata radicalmente: negli ultimi otto mesi i casi sono stati 15, in 11 di questi le ong sono sbarcate in uno dei nostri scali e a terra sono scese 1.346 persone. Le prime 14 occasioni erano state gestite dal Viminale di Salvini, l’ultimo è avvenuto con il governo Conte 2 già insediato.
Nello stesso periodo, inoltre, la politica del governo non ha frenato i cosiddetti sbarchi fantasma. I dati dicono che con Salvini al Viminale in Italia sono sbarcate 15.095 persone: nella grande maggioranza si è trattato di arrivi autonomi su barche di piccole dimensioni, segno che i porti non sono rimasti poi così chiusi.
La strategia del governo è stata quella di negare lo sbarco nella speranza che altri Paese europei offrissero un porto sicuro o, in second’ordine, che gli altri Stati promettessero di ricollocare una quota di migranti prima del loro arrivo. A cosa ha portato questa strategia? Delle 1.346 persone arrivate sulle navi ong 593 sono state prese in carico dagli altri membri dell’Unione. Poco più di una su 4. E in totale Roma ha chiesto il ricollocamento solo del 9% dei migranti sbarcati – ovvero dei 1.346 arrivati con le organizzazioni non governative sui 15.095 complessivi – riuscendo a strappare la promessa di un ricollocamento solo per il 4% del totale (i 593 di cui sopra).
“Il governo dei venduti ha riaperto i porti“, affermava Salvini solo il 19 settembre. Una narrazione messa seriamente in discussione dai dati reali, insieme ai risultati sbandierati dall’ex inquilino del Viminale. Risultati che, peraltro, sono da attribuire quasi interamente al precedente governo: il fatto che il flusso del Mediterraneo centrale sia calato di circa l’80% negli ultimi 18 mesi è conseguenza dell’accordo preparato dal predecessore Marco Minniti e stretto dall’esecutivo Gentiloni con il governo Al Sarraj, tramite il quale l’Italia finanzia i capi delle principali tribù della Tripolitania per tenere i migranti nei centri di detenzione presente sul territorio.