Molti tra quelli che votano Donald Trump sono probabilmente convinti che, anche se un po’ burbero, baldanzoso e narcisista, in fondo Trump i miracoli li sa fare. È arrivato lui e, da inimitabile decisionista quale è (oltre che grazie agli immensi poteri datigli dalla posizione conquistata col voto degli elettori), ha rilanciato l’economia americana fino a farle raggiungere il record di un decennio filato di continua crescita economica.
Di fronte a questi ineccepibili risultati, molti, anche tra quelli che non lo hanno votato circa tre anni fa, fanno fatica a capire perchè molti economisti (a parte quelli che nomina lui stesso o che sono comunque tra i suoi consiglieri alla Casa Bianca) continuano a criticarlo e a frenarlo. In questo modo potrebbero impedirgli di fare ancor meglio. Così pensano almeno quelli che lo hanno votato e che probabilmente vedrebbero con favore una sua rielezione il prossimo anno.
Ma adesso, tra quelli che lo contestano non c’è più solo il povero Jerome Powell (presidente della Banca centrale Usa), molto prudente nelle decisioni sulla riduzione dei tassi continuamente voluta da Trump. Ora ci sono due notissimi premi Nobel dell’Economia: Joseph Stiglitz e Paul Krugman, che hanno nettamente stigmatizzato le decisioni di Trump in due recentissimi articoli (motivando dettagliatamente). Krugman paventa addirittura, proprio per colpa di Trump, un imminente forte rischio di entrata in recessione proprio per colpa della “capricciosa” e imprevedibile politica applicata nelle guerre tariffarie che Trump ha avviato un po’ con tutti, ma soprattutto con la Cina.
Il giudizio di Krugman è fortemente critico non tanto sui dazi in sé, che qualche risultato positivo possono pure darlo (anche se inevitabilmente generano il classico “tit for tat for tit for tat” – botta e risposta), ma proprio per l’imprevedibilità delle sue decisioni. Queste non colpiscono solo la parte avversa, ma anche i produttori o i commercianti interni, che, non conoscendo le mosse (e le successive contromosse), rimangono bloccati senza sapere cosa fare, oppure si rivolgono ad altri clienti o fornitori vanificando in tutto o in parte quella mossa.
Insomma, dice Krugman, He isn’t just raising tariffs, he’s doing so in an unpredictable fashion (“lui non si limita ad alzare le tariffe, lui lo fa in modo del tutto imprevedibile”) e questo nuoce molto a chi opera nel business: non solo ai cinesi, ma anche agli americani! E addirittura, siccome anche tra i suoi stretti collaboratori sono pochi quelli che resistono più di qualche mese a stare con lui, Krugman sostiene che questo rapidissimo turnover ha finito col creare una situazione in cui many of those who remain are idiots (“di fatto rimangono solo gli idioti”) – idiot però in America ha un significato molto meno grave che tradotto in italiano.
Il moltiplicarsi di queste situazioni ha però creato nell’insieme una situazione generale di incertezza nel sistema produttivo americano, che finisce col rallentare tutta l’economia. Questa incertezza costringe la Fed a intervenire sui tassi a breve e questo muove in senso contrario i rendimenti dei titoli decennali. Il tutto si riflette nel noto grafico della “Yeld curve” che, quando si incrocia con quelli a breve, segnala a breve l’inizio di una recessione (vedasi grafico qui sotto). È bene ricordare anche la vecchia lezione di Krugman sulla differenza tra l’economia domestica e l’economia degli Stati.
Anche l’altro illustre Nobel, Joseph Stiglitz, non risparmia severe critiche a Trump. In sostanza, critica anche lui la imprevedibile politica economica di Trump che causa rallentamento nell’economia (non solo americana!) e produce quindi sostanzialmente una crisi globale che non giova a nessuno: “se la riduzione di 5,25 punti tra il 2007 e il 2008 non è bastata a fermare lo scoppio della crisi, cosa volete che possa fare oggi una misera riduzione di un quarto di punto?”. It provides entertainment for Fed watchers and employment for financial journalists (“Può fornire solo intrattenimento per gli osservatori della Fed e qualche impiego per giornalisti finanziari”), nulla più.
Inoltre, le manovre sui tassi hanno effetto anche sulla moneta e dunque, dice Stiglitz, non è anche questa una svalutazione competitiva (cioè la principale accusa che Trump fa a Xi Jinping)? E Trump lo fa proprio mentre la Cina smette di farlo.
L’America, che ha goduto nei tre anni di Trump di grandi benefici monetari e fiscali, concessi dal governo e dalla Banca centrale, dovrebbe essere adesso in pieno boom. Invece è stato tutto “bruciato” inutilmente, a unico beneficio di chi non aveva nessun bisogno di incentivi. Il solo taglio delle tasse aggiungerà circa due trilioni di dollari (2mila miliardi) di debito dello Stato che (vedasi grafico qui sotto), se non troverà qualche altra copertura, arriverà a circa il 150% prima del 2050. E non è difficile indovinare dove Trump, se verrà rieletto, andrà a fare i tagli necessari.
Nello scorso mese di agosto accennavo al timido tentativo operato dalla Fed (la Banca Centrale) di operare sui tassi e su un nuovo Quantitative easing al fine di evitare una nuova recessione. Da quello che dicono Krugman e Stiglitz, due eminenti figure nella macroeconomia, non pare che Trump abbia molta voglia di ascoltare. Siamo molto vicini ormai alla fase in cui l’unica soluzione per riequilibrare la distribuzione dei redditi è davvero dover far ricorso agli elicotteri.