Il gruppo Facebook delle famiglie coinvolte, creato dopo il fallimento della banca svizzera CryoSave, sta crescendo. Alcuni genitori stanno studiando per capire se c'è margine per un esposto o una querela
Truffate, tradite, derubate della speranza. Così si sentono alcune delle famiglie italiane coinvolte nel caso CryoSave, la banca svizzera che, senza consenso, avrebbe spostato in Polonia circa 15mila cellule staminali ricavate dai cordoni ombelicali dei loro figli e crioconservate nei loro laboratori di Ginevra. “Dove sono le nostre staminali?”. La rabbia che si trasforma in paura, la delusione e il dubbio, il desiderio di convincersi che è andato tutto bene: molte storie hanno questi denominatori comuni. Come quelle di Antonella, Francesca e Chiara, tre mamme che hanno scelto di crioconservare le staminali cordonali “per il futuro dei nostri figli” e che ora, come molti, sono invece costrette a vivere nel buio.
Antonella si è affidata a CryoSave nel 2015. “Mio marito ha sofferto di linfoma di Hodgkin da cui è poi è guarito. Quando sono rimasta incinta abbiamo scoperto che tra le varie malattie curabili con le staminali c’era proprio il linfoma. Sai che un domani tuo figlio potrebbe ammalarsi come il padre e sai che le staminali potrebbero guarirlo, quindi che cosa fai? Noi abbiamo scelto di tutelare nostro figlio”. Una scelta che Antonella non ha mai messo in discussione. Nemmeno di fronte alle difficoltà sul rientro delle staminali dall’estero. “CryoSave ci ha citato casi di rientri in Lombardia, ci siamo fidati”. Nemmeno di fronte alle critiche e alle solite dita puntate: perché non le donate, le staminali? “In Italia per conservarle servono circostanze particolari – continua Antonella – e la donazione non è così scontata: devi avere anche tanta fortuna e noi, con un genitore che ha pure avuto il linfoma, non partivamo certo avvantaggiati”.
Quattro anni tranquilli – Per i primi anni la crioconservazione prosegue senza intoppi. Antonella ha in mano il certificato per le staminali di suo figlio, i numeri delle provette e sa che sono a Ginevra. Nel 2019 resta di nuovo incinta e decide di ricontattare CryoSave per conservare le staminali della futura secondogenita. “Sapevamo che tra fratelli la compatibilità era più alta, circa uno su quattro”. Ma il kit per la raccolta dei materiali non arriva e a fine di giugno ecco la fatidica mail. CryoSave ha subappaltato l’attività alla Pbkm FamiCord, in Polonia, e ha trasferito tutte le cellule in Polonia, punto e fine della mail. “Ingenuamente abbiamo pensato che sarebbero state trasferite le cellule che stavamo per mandare e l’idea non ci piaceva perché volevamo le provette di entrambi nello stesso luogo. Poi però il loro telefono è diventato muto, alle mail non rispondevano e sulla loro pagina Facebook nei commenti si parlava di truffe e fallimenti. Ci siamo allarmati”. Antonella comincia a fare come altre famiglie: insegue informazioni, s’incolla ai telefoni e spedisce mail per tutta Europa. Scopre che FamiCord, la nuova banca di conservazione, tiene le cellule di suo figlio a Varsavia. Ma c’è un problema. “Mi hanno comunicato che hanno solo tre provette su quattro e che le stavano ancora classificando. Poi però ci hanno informato che la loro responsabilità sulle cellule sarebbe iniziata solo nei loro laboratori. E se fosse successo qualcosa prima, durante il trasporto?”.
Senso di colpa – Con la diffidenza arriva anche il panico. Nel nulla osta dell’ospedale per il trasferimento, Antonella deve specificare il luogo in cui verranno conservate le cellule, ma cosa scrivere? Ginevra? Varsavia? “Ho pensato alla diversificazione del rischio, di lasciarne uno in Polonia e contattare una banca di San Marino. Poi però ho deciso di non fare più nulla. Ho passato un mese moralmente difficile. Eravamo in ansia e ci siamo sentiti anche in colpa verso nostra figlia. Ci chiedevamo se fossimo cattivi genitori perché non le avremmo garantito un’assicurazione sul futuro”. Oggi, quattro mesi dopo, Antonella è riuscita quasi a farsene una ragione e la rabbia e la paura hanno fatto spazio all’amarezza. Non tanto per i soldi di cui, in fondo, non gliene importa nulla. “Piuttosto perché hanno giocato con le nostre speranze. È stata una truffa morale”.
L’allarmismo social – Mentre Antonella e migliaia di genitori s’interrogano sul destino delle loro cellule staminali crioconservate il polverone si alza, le denunce scattano, le associazioni prendono posizione con le famiglie. L’ultima, in ordine di tempo, quella degli Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani, che ha confermato l’impegno affinché le pratiche di crioconservazione vengano gestite in maniera scrupolosa, etica e responsabile. A muoversi però sono soprattutto i genitori. Si uniscono per ritrovare la speranza nell’oscurità. Per questo a giugno, Francesca fonda il gruppo Facebook “Genitori CryoSave”. “Insieme all’altro amministratore abbiamo fatto una ricostruzione della vicenda basata su prove concrete e comunicati ufficiali per fare chiarezza” racconta Francesca, che ha scelto di crioconservare le staminali di suo figlio nel 2016. Come spesso capita, però, qualcuno si lascia prendere dal panico e sui social “diffonde anche notizie non basate sulla realtà. Perché dire che i campioni sono stati buttati o altro quando non ci sono prove? Noi ci dissociamo da questo. Serve un grado di buon senso, leggere e cercare di capire”.
Le mosse legali – Il gruppo Facebook comunque cresce e diventa il punto di riferimento per oltre 4mila genitori. Tra questi, molti sono avvocati e lavorano sulle mosse legali. Come Chiara, che non ha più certezze sulle sue due crioconservazioni. CryoSave le ha comunicato che il suo materiale è a Varsavia, ma non hanno specificato né quale figlio né il numero delle provette. Con altri genitori-colleghi stanno studiando o un esposto o una querela. “Dal punto di vista civilistico c’è la violazione del principio di buona fede contrattuale così come quella sulla privacy. Qualcuno ha anche ipotizzato il reato di traffico di materiale organico per la quale serve ovviamente un supporto probatorio. Ma questa la vorrei tenere davvero come l’ipotesi più lontana”. E intanto Chiara, Antonella e Francesca aspettano. Così come altre 15mila famiglie.