Fermata Mahinour el-Masry, che difende alcuni degli oltre trecento egiziani finiti nelle mani della giustizia. In cella anche Ahmed Sahran e Mohamed Hamdi Younis, che si sono rivolti al Procuratore generale del Cairo chiedendo di avviare un’indagine sulle accuse di corruzione, abuso d’ufficio e malversazione lanciate dall’imprenditore e attore Mohamed Ali
Repressione in un drammatico “uno-due”. Il governo del Cairo ha prima prodotto una marea di fermi e arresti dopo le prime, spontanee manifestazioni di protesta iniziate venerdì scorso nella capitale e in altre città dell’Egitto. Ha poi concluso l’opera: al di là delle più elementari norme democratiche il regime guidato da Abdel Fattah al-Sisi, dopo i manifestanti ha pensato bene di togliere la libertà anche ai legali. Diversi gli avvocati posti in stato di fermo, tra loro Mahinour el-Masry, prelevata domenica da uomini in uniforme scesi da un van davanti la sede della Procura generale del Cairo.
La giovane professionista è stata infilata in un furgone e di lei si sono perse le tracce. Si sa soltanto che presto, forse già domani, potrebbe comparire davanti al procuratore come detenuta formale, parte di un nuovo caso. La sua colpa? Garantire la difesa ad alcuni degli oltre trecento egiziani finiti nelle mani della giustizia. Difficile tenere il conto delle persone a cui è stata negata la libertà dopo le proteste dell’altra notte a cui hanno fatto seguito altre manifestazioni non autorizzate dal governo sabato e ieri. La Commissione egiziana per i diritti e la libertà (Ecrf), la stessa che si occupa del caso Regeni, parla di 373 arresti di cui 39 donne. Di questi, 249 sono stati effettuati al Cairo.
Un dettaglio conferma l’ampiezza della repressione voluta dagli apparati di al-Sisi. Il grosso dei fermati nella capitale, infatti, sarebbe stato portato nel campo di Elgabal Elahmar, quartier generale della sicurezza egiziana. Luogo adatto ad ospitare un alto numero di persone: “L’Egitto è di nuovo nel caos, sono tempi duri per la nostra gente – commenta Mohamed Lotfy dell’Ecrf – ma lo saranno altrettanto per al-Sisi. La protesta scoppiata venerdì era inaspettata per molti, lui compreso, tanto da convincerlo a recarsi negli Usa. È vero, il grosso degli attivisti, specie quelli politici, sono in prigione da tempo, esiliati o indeboliti, ma la forza della piazza potrebbe essere ancora più dirompente. Non credo che il regime militare consentirà una nuova piazza Tahrir e dunque le opzioni sono due: o la repressione costante o il sacrificio del capo del governo. Una cosa è certa, la barriera di paura nei suoi confronti si è rotta”.
Le porte del carcere si sono aperte anche per altri due avvocati della capitale, fermati prima dell’assembramento originale di venerdì tra piazza Tahrir e Taalat Harb, i luoghi dove si è consumata principalmente la rivoluzione del gennaio 2011. Si tratta di Ahmed Sahran, legale esperto e stimato, e di Mohamed Hamdi Younis. I due, all’inizio della scorsa settimana, hanno avuto la pessima idea di rivolgersi direttamente al Procuratore generale del Cairo chiedendo di avviare un’indagine sulle accuse di corruzione, abuso d’ufficio e malversazione lanciate dall’imprenditore e attore Mohamed Ali, residente in Spagna.
La loro richiesta non è stata accolta e in cambio adesso si trovano in carcere. Stessa sorte e stessa accusa, terrorismo e rischio per la sicurezza del paese, per Hazem Ghonim, fratello del noto attivista Wael Ghonim, tra le figure di maggior spicco della rivoluzione di piazza Tahrir e da anni riparato negli Stati Uniti. A suo fratello sono state fatali, tanto per cambiare, le accuse al governo egiziano, definito in alcuni video amatoriali ‘opprimente’.
Una raffica di misure repressive che non si è mai arrestata. È notizia della settimana scorsa, l’arresto di Kamal Khalil, storico leader del Partito Democratico dei Lavoratori e dei Socialisti Rivoluzionari. Fatali per l’ultrasettantenne le aspre critiche al regime attraverso alcuni post su Facebook. Tutto è partito da un fatto analogo ad inizio settembre. Il video postato sui social da Ali ha prodotto una incredibile reazione a catena nella popolazione egiziana che da anni aspettava un segnale per accendersi.
A quasi nove anni dall’anniversario della rivoluzione che detronizzò l’allora presidente Hosni Mubarak e a sei dalle stragi nelle piazze della capitale durante le manifestazioni dei Fratelli Musulmani, l’Egitto torna a sollevarsi: “Ancora mancano un’organizzazione, un coordinamento, si tratta di proteste spontanee, prive di qualsiasi appoggio da parte della politica e dei grandi partiti – spiega Karim Abdelrady, avvocato e attivista del Cairo – Difficile dire come andrà avanti questa protesta, ma credo che possa essere la volta buona per liberarci di al-Sisi. Ci si sta mobilitando per venerdì prossimo, quando sono previste una serie di manifestazioni, al Cairo, Alessandria, Suez, Ismailia, Port Said, Damietta, Mahalla e in altri centri. Il cuore della protesta sarà qui al Cairo, l’obiettivo strategico principale è prendere di nuovo piazza Tahrir e occuparla, come accaduto all’inizio del 2011. Stavolta non saranno commessi gli errori del passato”.
La grande differenza con gli storici fatti iniziati il 25 gennaio 2011 sta nelle modalità di diffusione del consenso anti-regime. Mesi, anni di prove di sollevazione del popolo egiziano avviate e alimentate sui social network. Il dissenso nei confronti del regime di Abdel Fattah al-Sisi ha viaggiato soprattutto su Twitter a cui gli oppositori, politici e non, hanno affidato i loro attacchi e le analisi.
“Dalle elezioni presidenziali del marzo 2018 e dal loro andamento vergognoso, ho deciso di attivarmi sui social network per creare un gruppo di rivolta nei confronti di una leadership illiberale”, afferma Hazem Hosni, portavoce di uno dei candidati alle elezioni di un anno e mezzo fa, il generale Sami Anan, arrestato pochi giorni prima della presentazione delle candidature e oggi rinchiuso nel carcere militare del Cairo in gravissime condizioni di salute. Era la fine di gennaio e pochi giorni più tardi toccò al vice di Anan, Hicham Geneina, prima sfuggito ad un rapimento e poi arrestato in pieno giorno nei pressi del centro della capitale: “Finalmente qualcosa si sta muovendo – scrive Hosni – dopo che le cose si erano fatte molto complicate. Anche io ho abbracciato la logica dei social per aiutare la protesta. Anan e Geneina? Entrambi in carcere, condannati a 10 e 5 anni, il primo è semiparalizzato, ma lucido per fortuna”.