“Auspico che la Corte saprà coniugare la necessità di risolvere un caso così doloroso” come quello di Dj Fabo, “con la necessità di non elidere del tutto la possibilità di una disciplina generale in materia: bisogna conciliare diverse situazioni e quindi superare qualsiasi disciplina meramente casistica“. Parla così Gabriella Palmieri, avvocato generale dello Stato, in udienza alla Consulta che deciderà, mercoledì 25 settembre, sulla punibilità dell’istigazione o l’aiuto al suicidio. Reati per i quali Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, e Mina Welby, vedova di Piergiorgio, sono accusati in relazione ai casi di Fabiano Antoniani e di Davide Trentini, che hanno accompagnato in Svizzera per ottenere il suicidio assistito.

Il Parlamento, investito poco meno di un anno fa dalla Consulta della responsabilità di approvare una norma sul fine vita, si è defilato. Allo stato non esiste neanche un testo base e il tempo concesso è scaduto. E così manca poco alla decisione sulla costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale. “La giustizia – ha detto Carmen Salazar, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Reggio Calabria a ilfattoquotidiano.it – si è trasformata in una sorta di muro del pianto per i cittadini che attendono risposte dalla politica, ma si ritrovano dinanzi a vuoti normativi”. Uno stallo sul quale è intervenuta anche la Cei, chiedendo un rinvio della pronuncia dei giudici nel timore che si vada verso la legalizzazione del suicidio assistito. Dall’altra la Consulta di Bioetica invita i giudici a non cedere alle sollecitazioni, arrivate anche dal mondo della politica, a rinviare la decisione e concedere ulteriore tempo al Parlamento. “È importante che ci sia una decisione – ha detto Cappato -. Oggi non si parla di Fabiano o di me soltanto, ma di tante persone che soffrono. Al centro c’è la libertà di tutti i cittadini”.

Palmieri, davanti alla Corte, ha poi toccato vari aspetti su cui porre l’attenzione: dall’obiezione di coscienza, al controllo e alla possibilità di revocare il consenso. Le sue conclusioni davanti ai giudici non sono cambiate rispetto a quelle dello scorso ottobre, dichiarare “inammissibili” o “infondate” le questioni di legittimità riguardanti l’articolo 580 del codice penale. In udienza è intervenuta anche l’avvocato Filomena Gallo, difensore di Marco Cappato e segretario dell’associazione Luca Coscioni. “È giunto il momento di una dichiarazione di incostituzionalità, -ha detto – perché la normativa attuale è un vulnus costituzionale, e perché la dichiarazione di incostituzionalità è l’unica coerente con il rinvio stabilito dalla Corte con l’ordinanza dello scorso ottobre”.

Un anno per legiferare – Un anno fa la Corte – chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità del divieto all’aiuto al suicidio dalla Corte di Assise di Milano nell’ambito del processo a Marco Cappato, che aveva accompagnato in Svizzera Dj Fabo, per compiere il suicidio assistito – si era fermata a un passo dalla decisione. Dando un anno di tempo al Parlamento per legiferare su una materia tanto delicata, visto l’incrocio di valori di primario rilievo. Un periodo che è però trascorso invano. Sembra perciò difficile che la Corte che ora tornerà a riunirsi in udienza pubblica (una seconda seduta è prevista mercoledì) possa concedere un nuovo rinvio. Anche perché aveva già messo in chiaro un punto fermo: in alcune situazione come quella in cui venne a trovarsi Dj Fabo, cieco e tetraplegico, la tutela della vita trova un limite nella necessità di riconoscere altri valori costituzionali, come la dignità della persona e la sua autodeterminazione.

Le ipotesi sulla sentenza – Se non ci sarà il rinvio, tre sono le strade davanti alla Corte, come spiega il presidente emerito della Consulta Giovanni Maria Flick. La Consulta potrebbe dichiarare inammissibile la questione (“ma sarebbe strano che dopo essere andata avanti sino alla metà del fiume si fermi a questo punto”); oppure potrebbe rigettare o accogliere parzialmente la questione. In quest’ultimo caso potrebbe dire: “Una norma che punisce l’aiuto al suicidio, senza tener conto della situazione di chi è in sofferenza insostenibile, è incostituzionale nella parte in cui non prevede questa deroga”. Mentre nel caso del rigetto, “la Corte potrebbe dire la norma resta in vigore, a condizione che venga interpretata nei termini che hanno ispirato la legge 219 sulle disposizioni del fine vita“.

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