Quella ungherese è un modello a livello internazionale. Nel Regno Unito lo Stato ha incassato meno di quanto stimava perché le aziende hanno abbassato la quantità di zuccheri in bevande e snack. In Danimarca è stata abolita perché danneggiava l’economia (con migliaia di posti di lavoro persi) perché i cittadini compravano gli stessi prodotti in Svezia e in Germania. La chiamano “health tax” ma anche “sin tax“, la tassa sul peccato. Cioè quello di soddisfare la gola con il consumo di zuccheri, andando a colpire bibite e merendine. Una proposta avanzata anche in Italia nelle scorse settimane dal ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti per finanziare la scuola (ma anche “attività utili e stili di vita sani”) e sostenuta dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che l’ha definita “praticabile”. Ma oltre a raccogliere le critiche delle opposizioni, l’eventuale introduzione di una “sugar tax” ha creato tensione all’interno della stessa maggioranza con Luigi Di Maio che ha precisato di concordare col premier sulla riduzione delle tasse e non sull’introduzione di nuove.
Nel mondo, però, sono decine Paesi e città (in particolare americane) che hanno deciso di introdurla, per garantire allo Stato maggiori entrate da investire in sanità e progetti educativi e, magari, per alleggerire la spesa sanitaria legata alla cura di diabete, obesità e malattie cardiovascolari. E si tratta di una misura che va a incidere sulle abitudini alimentari dei consumatori, rendendole più sane, e sollecita i produttori a mettere a punto ricette con meno zuccheri. Obesità e diabete sono peraltro sempre più diffusi in Italia, dove un italiano su due è sovrappeso. L’obesità è “la seconda causa evitabile di tumori dopo il fumo” e chi è più a rischio abita a Sud e non è laureato.
Conseguenze sulla salute che si riversano anche sul bilancio dello Stato: nei Paesi occidentali, secondo uno studio realizzato dalla Fondazione Policlinico Tor Vergata nel 2012, i costi legati all’eccesso di peso gravano in media dal 4 al 10 per cento della spesa sanitaria nazionale e il Centro studio ricerca sull’obesità ha calcolato che nel 2016 in Italia l’impatto economico – che include calo della produttività e la mortalità precoce – è stato di 9 miliardi di euro. Guardando al diabete, invece, i malati nel nostro paese sono circa il 5% della popolazione, percentuale quasi raddoppiata negli ultimi trent’anni anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, della diagnosi precoce e dell’aumento della sopravvivenza dei malati. Assistenza ambulatoriale, ospedaliera e trattamenti comportano un costo annuale per ogni diabetico di circa 2.800 euro, per un totale di circa 8 miliardi di euro. Spese che potrebbero essere finanziate direttamente, come fatto in altri Paesi, anche dalla tassazione di prodotti alimentari con troppi zuccheri o indirettamente da un minore costo per la collettività. Magari con uno stile di vita più sano e consumi più attenti.
Regno Unito contro obesità e diabete – È stata introdotta ad aprile 2018 in uno dei Paesi con uno dei tassi di obesità più alti del mondo occidentale. L’obiettivo numero uno non era quello di ridurre i consumi, ma di risalire a monte del problema e colpire i produttori, spingendoli a riformulare la composizione dei loro prodotti. La norma infatti fissa una maggiorazione di 18 pence al litro sulle bevande che ogni 100 ml contengono tra i 5 e gli 8 grammi di zucchero, mentre sono 24 i pence al litro per i drink che per la stessa quantità contengono una quantità uguale o superiore a 8 grammi (ad esclusione dei succhi di frutta e verdura senza zuccheri aggiunti e bevande a base di latte). Obesità e diabete colpiscono pesantemente la popolazione britannica, come dimostrano anche i dati di Nhs (National Health System) digital, la “banca dati” della sanità nazionale: oltre un quarto della popolazione è obesa e il 2 per cento degli uomini e il 4 per cento delle donne sono in una condizione di obesità grave. Un problema sanitario che si riflette anche nel numero dei ricoveri ospedalieri: tra il 2015 e il 2017 quelli legati all’obesità sono stati 10.705 (aumentati dell’8%), e tra il 2016 e il 2017 ci sono stati 6.700 interventi di chirurgia bariatrica (dedicata alla riduzione dell’obesità) che nel 77% hanno riguardato pazienti donne. Nel complesso i numeri parlano chiaro: su una popolazione di 66 milioni di persone, il 5,6% ha il diabete (3,7 milioni). Nel Regno Unito inoltre, secondo i dati riportati dalla School of London Hygiene and Tropical medicine, sono 73mila le persone che ogni anno muoiono per cardiopatie e malattie coronariche e 40mila d’infarto. Ma quanti soldi ha portato nelle casse dello Stato la sugar tax? Il Tesoro sperava di incassare 500 milioni di sterline all’anno, traguardo che si è ridotto a 240, visto che il 50% dei produttori ha già riformulato la quantità di zuccheri all’interno di snack e bibite e, dunque, non dovrà pagare. Nei primi quattro mesi dalla sua introduzione a ottobre 2018 sono entrate nelle casse dello Stato 154 milioni di sterline che, scrive il Financial Times, sono andate a finanziare misure contro l’obesità infantile, promozione dello sport e piani di alimentazione più sana a scuola.
Danimarca, dove la “fat tax” ha danneggiato l’economia – “Questa decisione è il risultato dei nostri sforzi per mettere in luce l’impatto negativo della tassa. Il governo danese ha riconosciuto le conseguenze sui lavoratori vicino al confine e sul commercio“. Niels Hald, segretario dell’associazione danese per i soft drink Bryggeriforeningen aveva annunciato così la svolta dell’esecutivo di Copenhagen di mettere la parola fine alla sugar tax nazionale, introdotta 80 anni prima. E’ stata eliminata in due fasi: con una riduzione del 50% a partire da luglio 2013 fino alla totale eliminazione dal 1 gennaio 2014. Eppure la sua storia era iniziata negli anni Trenta e nel 2013 colpiva con un’accisa di 0,22 euro per litro le bevande gassate. L’introito per lo Stato era di 60 milioni di euro l’anno, ma il suo contraltare erano i circa 40 milioni di euro di Iva evasi con la vendita illegale di soft drink. La cancellazione della ‘sugar tax’ danese seguiva di pochi mesi quella sulla fat tax, introdotta dal governo nel 2011. Una tassa che colpiva un nutriente e non direttamente i prodotti, andando così ad aumentare il prezzo di tutti quelli che superavano il 2,3% di grassi. Tra questi anche burro, pizza, carne e latticini. Due tasse su due eliminate perché i consumatori, per abbattere i costi, compravano gli stessi prodotti tassati in Danimarca a prezzi inferiori in Germania e Svezia, con conseguenze pesanti sull’economia e l’occupazione nelle zone di confine. Oltre 1.300 i posti di lavoro andati in fumo secondo il Danish Agriculture and Food Council, senza considerare l’aumento del consumo di benzina e gasolio di produttori e consumatori per vendere e acquistare i prodotti (gli stessi che avrebbero comprato a casa) nei paesi confinanti. Dubbi anche sugli effetti benefici sulla salute: nei primi mesi di introduzione della ‘fat tax’ era stato registrato un calo del 20% dell’acquisto di olio e margarina, ma successivamente non c’erano state flessioni apprezzabili. Soltanto il 7% dei danesi aveva ridotto il consumo di grassi. L’impopolarità, poi, era talmente diffusa da scoraggiare l’introduzione di una nuova tassa su prodotti come yogurt, e ketchup che doveva entrare in vigore a gennaio 2013. E soprattutto, era sotto gli occhi di tutti, specie al confine, la fuga per accaparrarsi gli stessi prodotti a prezzi inferiori.
Ungheria, la tassa sul “junk food” che funziona – Nel 2011 il governo ha introdotto una tassa del 4% su prodotti confezionati e bibite (soft drinks, caramelle, snack salati, condimenti e marmellate) che contengono alti livelli di zucchero e sale. E nei primi quattro anni lo Stato ha incassato 219 milioni di dollari che ha investito nella sanità (nel 2013 corrispondevano all’1,2 della spesa sanitaria complessiva). Gli effetti del provvedimento sono ricaduti sui produttori di “junk food” – il 40 per cento ha ritoccato le ricette in chiave salutista – e sui consumatori, che hanno sviluppato maggiore consapevolezza circa la propria alimentazione col supporto di campagne ad hoc, tanto che il 59 per cento ha diminuito il suo consumo di “cibo spazzatura”. Secondo un report del World Health Organization, dal 7 al 16% dei consumatori hanno scelto prodotti più economici e spesso più sani e dal 5 all’11 per cento hanno cambiato marca dei prodotti o scelto un’alternativa più sana. Lo stesso dossier evidenzia che in Ungheria i tassi di mortalità legati a malattie cardiache, ischemia e cancro erano i più alti del mondo industrializzato e il paese deteneva la più alta media procapite di consumo di sale di tutta l’Europa. Inoltre circa due terzi della popolazione adulti erano obesi o sovrappeso. Tutte ragioni per cui il governo ha implementato nuove misure per migliorare consapevolezza alimentare e relativi consumi.
Francia, Coca cola riduce le bottiglie per non tagliare gli zuccheri (ma gli altri lo fanno) – Introdotta nel 2013, la “sugar tax” è stata modificata nel 2018 con un innalzamento della soglia: le bevande zuccherate che contengono più di 11 grammi di zucchero per 100 ml vengono tassate di 20 euro ogni cento litri. L’obiettivo principale, come per il Regno Unito, è quello di contrastare l’obesità in un paese dove la metà degli adulti è sovrappeso. La Francia ha inoltre deciso di vietare il “free refill” nei ristoranti: un’abitudine mutuata dagli Usa di riempire il proprio bicchiere di bibita gasata senza limiti di quantità. Il primo effetto è stato sui produttori, che hanno deciso di diminuire la quantità di zucchero delle bevande. Schweppes e Lipton Ice Tea hanno tagliato gli zuccheri del 40%, Seven Up e Fanta del 30%. Coca cola, al contrario, ha mantenuto invariata la quantità di zucchero, ma ha ridotto la dimensione di alcune bottiglie in commercio.
Norvegia, il declino di una tassa introdotta del 1922 – Quando è stata introdotta nel 1922, la sugar tax aveva un solo scopo: aumentare le entrate. Poi, nel tempo, si è fatta strada anche l’esigenza di incidere su salute e consumi. A gennaio 2018 il governo l’ha aumenta dell’83% per gli snack e del 42% per le bevande zuccherate. L’obiettivo è quello di ridurre diabete e obesità (nonostante nel paese solo un bambino su sei sia sovrappeso) e ridurre il consumo di zucchero del 12,5% entro il 2021. Ma l’aumento della tassa sta avendo lo stesso effetto della ‘fat tax’ danese: sono tanti, infatti, i norvegesi che attraversano il confine per comprare in Svezia quello che a casa è troppo caro, con relativa perdita di posti di lavoro. Le tante critiche da parte dei consumatori e dell’industria stanno spingendo la politica a ripensare la misura, più orientata a penalizzare prodotti “non salutari” nel loro complesso, tenendo in considerazione più fattori. Secondo alcune proiezioni, però, una eventuale cancellazione della tassa nel 2019 corrisponde a un mancato introito per lo Stato di 150 milioni di euro.
Twitter: ele9380
Società
Tassa su merendine e bibite, milioni di euro allo Stato e abitudini più sane: dall’Ungheria al Regno Unito, la “health tax” è un modello
Sono decine i Paesi che nel mondo hanno deciso di imporre una misura su prodotti zuccherati. Per tanti l'obiettivo è quello di ridurre obesità e diabete, reinvestendo l'incasso in progetti educativi o nel sistema sanitario. Consumatori e produttori, inoltre, si adeguano ritoccando acquisti e offerta. In Norvegia esiste dal 1922 e ora ci sono più difficoltà: i cittadini vanno in Svezia a comprare le stesse cose
Quella ungherese è un modello a livello internazionale. Nel Regno Unito lo Stato ha incassato meno di quanto stimava perché le aziende hanno abbassato la quantità di zuccheri in bevande e snack. In Danimarca è stata abolita perché danneggiava l’economia (con migliaia di posti di lavoro persi) perché i cittadini compravano gli stessi prodotti in Svezia e in Germania. La chiamano “health tax” ma anche “sin tax“, la tassa sul peccato. Cioè quello di soddisfare la gola con il consumo di zuccheri, andando a colpire bibite e merendine. Una proposta avanzata anche in Italia nelle scorse settimane dal ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti per finanziare la scuola (ma anche “attività utili e stili di vita sani”) e sostenuta dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che l’ha definita “praticabile”. Ma oltre a raccogliere le critiche delle opposizioni, l’eventuale introduzione di una “sugar tax” ha creato tensione all’interno della stessa maggioranza con Luigi Di Maio che ha precisato di concordare col premier sulla riduzione delle tasse e non sull’introduzione di nuove.
Nel mondo, però, sono decine Paesi e città (in particolare americane) che hanno deciso di introdurla, per garantire allo Stato maggiori entrate da investire in sanità e progetti educativi e, magari, per alleggerire la spesa sanitaria legata alla cura di diabete, obesità e malattie cardiovascolari. E si tratta di una misura che va a incidere sulle abitudini alimentari dei consumatori, rendendole più sane, e sollecita i produttori a mettere a punto ricette con meno zuccheri. Obesità e diabete sono peraltro sempre più diffusi in Italia, dove un italiano su due è sovrappeso. L’obesità è “la seconda causa evitabile di tumori dopo il fumo” e chi è più a rischio abita a Sud e non è laureato.
Conseguenze sulla salute che si riversano anche sul bilancio dello Stato: nei Paesi occidentali, secondo uno studio realizzato dalla Fondazione Policlinico Tor Vergata nel 2012, i costi legati all’eccesso di peso gravano in media dal 4 al 10 per cento della spesa sanitaria nazionale e il Centro studio ricerca sull’obesità ha calcolato che nel 2016 in Italia l’impatto economico – che include calo della produttività e la mortalità precoce – è stato di 9 miliardi di euro. Guardando al diabete, invece, i malati nel nostro paese sono circa il 5% della popolazione, percentuale quasi raddoppiata negli ultimi trent’anni anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, della diagnosi precoce e dell’aumento della sopravvivenza dei malati. Assistenza ambulatoriale, ospedaliera e trattamenti comportano un costo annuale per ogni diabetico di circa 2.800 euro, per un totale di circa 8 miliardi di euro. Spese che potrebbero essere finanziate direttamente, come fatto in altri Paesi, anche dalla tassazione di prodotti alimentari con troppi zuccheri o indirettamente da un minore costo per la collettività. Magari con uno stile di vita più sano e consumi più attenti.
Regno Unito contro obesità e diabete – È stata introdotta ad aprile 2018 in uno dei Paesi con uno dei tassi di obesità più alti del mondo occidentale. L’obiettivo numero uno non era quello di ridurre i consumi, ma di risalire a monte del problema e colpire i produttori, spingendoli a riformulare la composizione dei loro prodotti. La norma infatti fissa una maggiorazione di 18 pence al litro sulle bevande che ogni 100 ml contengono tra i 5 e gli 8 grammi di zucchero, mentre sono 24 i pence al litro per i drink che per la stessa quantità contengono una quantità uguale o superiore a 8 grammi (ad esclusione dei succhi di frutta e verdura senza zuccheri aggiunti e bevande a base di latte). Obesità e diabete colpiscono pesantemente la popolazione britannica, come dimostrano anche i dati di Nhs (National Health System) digital, la “banca dati” della sanità nazionale: oltre un quarto della popolazione è obesa e il 2 per cento degli uomini e il 4 per cento delle donne sono in una condizione di obesità grave. Un problema sanitario che si riflette anche nel numero dei ricoveri ospedalieri: tra il 2015 e il 2017 quelli legati all’obesità sono stati 10.705 (aumentati dell’8%), e tra il 2016 e il 2017 ci sono stati 6.700 interventi di chirurgia bariatrica (dedicata alla riduzione dell’obesità) che nel 77% hanno riguardato pazienti donne. Nel complesso i numeri parlano chiaro: su una popolazione di 66 milioni di persone, il 5,6% ha il diabete (3,7 milioni). Nel Regno Unito inoltre, secondo i dati riportati dalla School of London Hygiene and Tropical medicine, sono 73mila le persone che ogni anno muoiono per cardiopatie e malattie coronariche e 40mila d’infarto. Ma quanti soldi ha portato nelle casse dello Stato la sugar tax? Il Tesoro sperava di incassare 500 milioni di sterline all’anno, traguardo che si è ridotto a 240, visto che il 50% dei produttori ha già riformulato la quantità di zuccheri all’interno di snack e bibite e, dunque, non dovrà pagare. Nei primi quattro mesi dalla sua introduzione a ottobre 2018 sono entrate nelle casse dello Stato 154 milioni di sterline che, scrive il Financial Times, sono andate a finanziare misure contro l’obesità infantile, promozione dello sport e piani di alimentazione più sana a scuola.
Danimarca, dove la “fat tax” ha danneggiato l’economia – “Questa decisione è il risultato dei nostri sforzi per mettere in luce l’impatto negativo della tassa. Il governo danese ha riconosciuto le conseguenze sui lavoratori vicino al confine e sul commercio“. Niels Hald, segretario dell’associazione danese per i soft drink Bryggeriforeningen aveva annunciato così la svolta dell’esecutivo di Copenhagen di mettere la parola fine alla sugar tax nazionale, introdotta 80 anni prima. E’ stata eliminata in due fasi: con una riduzione del 50% a partire da luglio 2013 fino alla totale eliminazione dal 1 gennaio 2014. Eppure la sua storia era iniziata negli anni Trenta e nel 2013 colpiva con un’accisa di 0,22 euro per litro le bevande gassate. L’introito per lo Stato era di 60 milioni di euro l’anno, ma il suo contraltare erano i circa 40 milioni di euro di Iva evasi con la vendita illegale di soft drink. La cancellazione della ‘sugar tax’ danese seguiva di pochi mesi quella sulla fat tax, introdotta dal governo nel 2011. Una tassa che colpiva un nutriente e non direttamente i prodotti, andando così ad aumentare il prezzo di tutti quelli che superavano il 2,3% di grassi. Tra questi anche burro, pizza, carne e latticini. Due tasse su due eliminate perché i consumatori, per abbattere i costi, compravano gli stessi prodotti tassati in Danimarca a prezzi inferiori in Germania e Svezia, con conseguenze pesanti sull’economia e l’occupazione nelle zone di confine. Oltre 1.300 i posti di lavoro andati in fumo secondo il Danish Agriculture and Food Council, senza considerare l’aumento del consumo di benzina e gasolio di produttori e consumatori per vendere e acquistare i prodotti (gli stessi che avrebbero comprato a casa) nei paesi confinanti. Dubbi anche sugli effetti benefici sulla salute: nei primi mesi di introduzione della ‘fat tax’ era stato registrato un calo del 20% dell’acquisto di olio e margarina, ma successivamente non c’erano state flessioni apprezzabili. Soltanto il 7% dei danesi aveva ridotto il consumo di grassi. L’impopolarità, poi, era talmente diffusa da scoraggiare l’introduzione di una nuova tassa su prodotti come yogurt, e ketchup che doveva entrare in vigore a gennaio 2013. E soprattutto, era sotto gli occhi di tutti, specie al confine, la fuga per accaparrarsi gli stessi prodotti a prezzi inferiori.
Ungheria, la tassa sul “junk food” che funziona – Nel 2011 il governo ha introdotto una tassa del 4% su prodotti confezionati e bibite (soft drinks, caramelle, snack salati, condimenti e marmellate) che contengono alti livelli di zucchero e sale. E nei primi quattro anni lo Stato ha incassato 219 milioni di dollari che ha investito nella sanità (nel 2013 corrispondevano all’1,2 della spesa sanitaria complessiva). Gli effetti del provvedimento sono ricaduti sui produttori di “junk food” – il 40 per cento ha ritoccato le ricette in chiave salutista – e sui consumatori, che hanno sviluppato maggiore consapevolezza circa la propria alimentazione col supporto di campagne ad hoc, tanto che il 59 per cento ha diminuito il suo consumo di “cibo spazzatura”. Secondo un report del World Health Organization, dal 7 al 16% dei consumatori hanno scelto prodotti più economici e spesso più sani e dal 5 all’11 per cento hanno cambiato marca dei prodotti o scelto un’alternativa più sana. Lo stesso dossier evidenzia che in Ungheria i tassi di mortalità legati a malattie cardiache, ischemia e cancro erano i più alti del mondo industrializzato e il paese deteneva la più alta media procapite di consumo di sale di tutta l’Europa. Inoltre circa due terzi della popolazione adulti erano obesi o sovrappeso. Tutte ragioni per cui il governo ha implementato nuove misure per migliorare consapevolezza alimentare e relativi consumi.
Francia, Coca cola riduce le bottiglie per non tagliare gli zuccheri (ma gli altri lo fanno) – Introdotta nel 2013, la “sugar tax” è stata modificata nel 2018 con un innalzamento della soglia: le bevande zuccherate che contengono più di 11 grammi di zucchero per 100 ml vengono tassate di 20 euro ogni cento litri. L’obiettivo principale, come per il Regno Unito, è quello di contrastare l’obesità in un paese dove la metà degli adulti è sovrappeso. La Francia ha inoltre deciso di vietare il “free refill” nei ristoranti: un’abitudine mutuata dagli Usa di riempire il proprio bicchiere di bibita gasata senza limiti di quantità. Il primo effetto è stato sui produttori, che hanno deciso di diminuire la quantità di zucchero delle bevande. Schweppes e Lipton Ice Tea hanno tagliato gli zuccheri del 40%, Seven Up e Fanta del 30%. Coca cola, al contrario, ha mantenuto invariata la quantità di zucchero, ma ha ridotto la dimensione di alcune bottiglie in commercio.
Norvegia, il declino di una tassa introdotta del 1922 – Quando è stata introdotta nel 1922, la sugar tax aveva un solo scopo: aumentare le entrate. Poi, nel tempo, si è fatta strada anche l’esigenza di incidere su salute e consumi. A gennaio 2018 il governo l’ha aumenta dell’83% per gli snack e del 42% per le bevande zuccherate. L’obiettivo è quello di ridurre diabete e obesità (nonostante nel paese solo un bambino su sei sia sovrappeso) e ridurre il consumo di zucchero del 12,5% entro il 2021. Ma l’aumento della tassa sta avendo lo stesso effetto della ‘fat tax’ danese: sono tanti, infatti, i norvegesi che attraversano il confine per comprare in Svezia quello che a casa è troppo caro, con relativa perdita di posti di lavoro. Le tante critiche da parte dei consumatori e dell’industria stanno spingendo la politica a ripensare la misura, più orientata a penalizzare prodotti “non salutari” nel loro complesso, tenendo in considerazione più fattori. Secondo alcune proiezioni, però, una eventuale cancellazione della tassa nel 2019 corrisponde a un mancato introito per lo Stato di 150 milioni di euro.
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Roma, 21 feb. (Adnkronos) - "Vogliamo essere gli architetti di una nuova democrazia. La grandissima preoccupazione, pensando al tema della geo cultura è che quando la politica si fa guidare dall’economia, diceva Adam Smith, diventa un problema democratico perché l’economia avrà sempre un interesse diverso dalla politica. Se la politica gestisce l’economia stiamo tutti bene. Ho paura del fatto che nelle mani di pochissime di persone c’è il potere economico, praticamente, di tutti, e che non si colga questo pericolo". Lo ha detto Walter Mauriello, presidente nazionale Meritocrazia Italia, oggi a Firenze, chiudendo il focus dedicato alla Geo cultura, in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia, la due giorni interamente dedicata al confronto tra le parti politiche, le Istituzioni tutte e i cittadini.
“Meritocrazia Italia - spiega Mauriello - fa passi in avanti molto improntati in termini di qualità e sostanza, ma il leader deve essere un passo indietro rispetto agli altri, non tanto per umiltà, ma per osservare, vedere le qualità e metterle a servizio del gruppo. La politica che stiamo costruendo è attrattiva, vuole dare la possibilità al debole di parlare e al forte di mettersi in discussione, nel rispetto delle regole che evita manganelli e sanzioni e dà la possibilità di una vita equilibrata e felice. Sull’ambiente, ad esempio la geo cultura è stata distrutta dalla necessità di energia. Certo, non si esclude il nucleare, ma è importante sfruttare tutte le risorse, mentre continuiamo ad andare a prendere" energia in Paesi con petrolio "dove l'egemonia è di pochi. Insieme si può realizzare una grande opera. Questo vale anche per la giustizia”.
“Nel nostro cammino abbiamo incontrato tante persone di qualità - conclude Mauriello - La grande certezza è questo gruppo, di cui pensiamo sempre il prossimo step. Abbiamo da tempo interlocuzione diretta con il presidente della Repubblica, con il presidente del Consiglio” e Oltreoceano. "Abbiamo l’ambizione di essere noi stessi, per essere un vero cambiamento".
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - In collaborazione con TgPoste.it
Nel 2025 focus su pacchi, risparmio postale, assicurazioni e offerta luce e gas. Sono le priorità di Poste Italiane, messe in fila dall’amministratore delegato, Matteo del Fante, intervistato da Tg Poste all’alba dei conti del gruppo, che ha chiusto il 2024 con numeri record e obiettivi futuri in rialzo. Ora, “rimaniamo focalizzati sulla logistica, in particolare sui pacchi” ma “resteranno importanti i prodotti di risparmio: quest’anno ricorre il 150° anniversario del libretto postale e il centenario del buono fruttifero. Stiamo studiando con Cassa Depositi e Prestiti delle emissioni per celebrare le soluzioni di risparmio più apprezzate dagli italiani, per un valore di 340 miliardi”; per quanto riguarda la protezione “sarà un anno molto positivo” e per “la nostra offerta di luce e gas il 2025 sarà storico perché ci siamo dati l’obiettivo di raggiungere il milione di contratti. Al momento Poste Energia conta 700mila clienti, abbiamo ancora lavoro da fare”, ha riferito l’Ad. (Video)
“Questa azienda non produce beni fisici ma offre servizi. Se i nostri colleghi operativi e l’azienda tutta non collaborassero non si raggiungerebbero questi numeri. Quando si ottiene più di quello che ci si aspettava, significa che tutti i colleghi ci hanno messo passione ed è la cosa per noi più importante. Un grazie sulla base di risultati concreti”, ha aggiunto poi Del Fante, riferendosi ai 120mila dipendenti di Poste.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - “Rispetto al sistema geopolitico non riteniamo che sia assolutamente ragionevole togliere dal patto di stabilità la spesa per le armi. Noi pensiamo a una geopolitica che rimetta al centro l'uomo, rimetta al centro il welfare, rimetta al centro la salute. Questi sono temi che dovrebbero essere tolti dal patto di stabilità”. Lo ha detto Andrea Quartini, deputato M5S, nel suo intervento oggi a Firenze al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia, la due giorni interamente dedicata al confronto tra le parti politiche, le Istituzioni tutte e i cittadini.
“L'Italia è l'incrocio di tantissime culture, di tantissime lingue, di tantissimi soggetti - argomenta Quartini - Questo rende l'Italia un paese assolutamente particolare. Noi siamo stati i migliori diplomatici del mondo, non a caso. Noi siamo un po' spagnoli, un po' greci, un po' africani, un po' arabi. Questa miscela è straordinaria. Ci può far comprendere quanto è importante il dialogo, quanto si può essere efficaci nella capacità di impostare dei negoziati di pace. Credo che questa forza che l'Italia può esprimere può anche riuscire a far ritornare molti giovani ad occuparsi di politica. E credo che questo sia un tema che ci riguarda nel senso anche di avvicinarsi alle strategie di Meritocrazia Italia. Credo che Movimento 5 Stelle e Meritocrazia Italia su questa linea abbiano molte cose da condividere”.
“Credo fermamente nell'idea di un'Europa che riesce a governare una transizione ecologica - aggiunge Quartini - Quindi, da questo punto di vista, credo ci siano degli aspetti che ci assimilano, che ci possono consentire un dialogo forte. Allo stesso tempo, credo che il tema della pace sia un tema assolutamente importante, rilevante. Sono tre anni che, diciamo, che dobbiamo arrivare a un momento di negoziazione e che probabilmente siamo davvero in ritardo e il prezzo pagato da tanti uomini in Ucraina sia un prezzo troppo alto e poteva essere evitato. Allo stesso tempo riteniamo che si debba farlo in un'ottica di credibilità”, conclude.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - "L'attualità internazionale impone una riflessione. Con determinazione dobbiamo rilanciare quello spirito europeo che l'Italia ha contribuito come Paese fondatore a creare. Dal 1957 i passi in avanti fatti sono stati straordinari, eccezionali, però ora è necessario uno scatto ulteriore. È centrale il tema della difesa, ma in questo ambito le posizioni sono ancora piuttosto articolate all'interno dell'Unione e non è un bene". Lo ha detto Alessandro Battilocchio, deputato Fi, partecipando oggi al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia in corso a Firenze.
"L'Italia fu uno dei Paesi che prima ancora dei trattati di Roma nel 1954 con De Gasperi lanciò l'idea di una difesa comune - continua Battilocchio - Poi, proprio dalla Francia ci fu una grande frenata. Dopo il trattato di Lisbona sembrava che questo percorso si fosse riavviato con una serie di step previsti che dovranno portare ad una difesa comune, però anche in questo caso, pur in una contingenza difficile, legata alla pandemia, i passi in avanti sono stati assolutamente troppo flebili. Ora il tema è tornato prepotentemente d'attualità e io ritengo che sia importante che si sia aperto un dibattito. Le parole che arrivano da Oltreoceano rappresentano, in questo contesto, una spinta ad accelerare questa discussione".
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - “Credo che, sotto il profilo geo culturale un'enfasi forte sul consesso europeo sia strettamente necessario perché ritengo che si stia perdendo culturalmente un ruolo che il nostro contesto geografico politico ha sempre avuto. Con il linguaggio dei numeri, il valore delle nostre imprese in relazione al totale delle imprese del mondo non è sceso, è crollato in modo ingiustificato. Se confrontate il 2005 con il 2024, vi accorgete che il prodotto interno lordo dell'Europa è passato dal 35% del totale del mondo al 20%. Siamo scesi come peso e come significatività. Se poi andiamo a vedere il peso delle società quotate, nel 2005 e oggi, troviamo che è passato dal 35% del totale a meno del 15%”. Così Maurizio Dallocchio, professore ordinario università Bocconi, intervenendo oggi a Firenze al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia, la due giorni interamente dedicata al confronto tra le parti politiche, le Istituzioni e i cittadini.
Nel mondo, “le banche europee, sono irrilevanti - aggiunge Dallocchio - La prima banca europea per dimensione di capitalizzazione è dopo il numero 20. Nelle prime 10 ce ne sono 4 americane, 4 cinesi, una della Gran Bretagna e una giapponese. Non ce n'è una europea. Le banche europee, per finanziare le imprese europee, sono fortissime, sono importantissime - evidenzia il professore - Se consideriamo 100 il debito delle imprese europee, 75 è debito bancario e solo 25% è legato ai mercati e all'emissione di titoli obbligazionari. Credo che se partiamo da questi numeri ci rendiamo contro che stiamo diventando, in qualche modo, preda, sotto il profilo economico. Ma - avverte il professore - l'economia influisce sulla politica e sulla società ed evidentemente dà un impulso numerico alla cultura prevalente”.
C’è una concentrazione geopolitica delle maggiori imprese del mondo. “Tra le prime otto per capitalizzazione di borsa, sette sono statunitensi, l'altra è saudita e fa petrolio - illustra l’esperto - Quella che capitalizza di più in borsa, che vale 3.600 miliardi di dollari, molto di più del debito pubblico italiano per intenderci, quasi il doppio del Pil italiano, è una società che appartiene al settore tecnologico. Le sette americane sono tutte imprese tecnologiche. Per cui il secondo elemento di concentrazione, il settoriale, è potentissimo. Le prime otto società per capitalizzazione di borsa, nel 2005, l'anno di riferimento che ho preso insieme al 2024, erano presenti in sei settori diversi: il farmaceutico, diversificato, la grande distribuzione, il bancario, l'oil and gas e le tecnologie. Oggi i settori presenti sono, praticamente, uno”.
Inoltre, “la capitalizzazione di borsa delle prime cinque società al mondo per capitalizzazione - rimarca il professore - valgono il 30% del mercato di tutto il mondo. La sola, Nvidia, che è legata al mondo dell'intelligenza artificiale, da sola pesa una 1,6 tutta la borsa tedesca: una concentrazione dimensionale incredibile, mai esistita in passato. Altamente preoccupante è che si tratta di realtà proprietarie. Nel 2005, delle grandi imprese che connotavano il mondo, la concentrazione della proprietà era altamente diffusa. Nessuno possedeva più del 7 - 8 - 9%. Oggi, le prime otto società per capitalizzazione, si rifanno al nome di un padrone. Sotto il profilo evidentemente economico, finanziario, ma anche sociale e culturale, ha un impatto sul mondo che è straordinario”.
Come Europa, “se vogliamo tornare ad avere il ruolo sotto il profilo culturale in primo luogo sotto il profilo economico e sociale - suggerisce Dallocchio - è necessario accettare che ci sia un debito comune, è necessario provvedere a una difesa comune, al rilancio dei mercati e della finanza, intesa nel senso buono, dei soldi che finiscono alle aziende proveniendo dalle famiglie. È necessaria una fiscalità omogenea ed è necessario prendere consapevolezza del fatto che se vuoi essere competitivo devi investire in tecnologie e in intelligenza, che poi naturale o artificiale, con una visione di lungo periodo che porti a credibilità, a sostenibilità, a visibilità, a credito, che si trasformi anche in credito culturale della nostra Europa”. In questo contesto, l’Italia “è un Paese che paga una valanga di tasse. Partiamo da un livello di tassazione che, rispetto ad altri Paesi è mostruosamente superiore”. Va bene la rottamazione delle cartelle esattoriali? “Si, ma cum grano salis”, conclude.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - Le elezioni federali del 23 febbraio 2025 sono un momento cruciale non solo per la Germania ma per l’intero panorama politico europeo e internazionale. Per approfondire l'impatto di questo appuntamento elettorale, Adnkronos organizza una diretta speciale targata Eurofocus, direttamente dalla residenza di Hans-Dieter Lucas, l’ambasciatore tedesco a Roma.
Condotto dal direttore Davide Desario e dai vicedirettori Fabio Insenga e Giorgio Rutelli, con la partecipazione dei giornalisti Adnkronos Mara Montanari e Otto Lanzavecchia, lo speciale di domenica comincerà alle 17 e vedrà la partecipazione di molti ospiti italiani e tedeschi, con continui collegamenti anche da Berlino, Francoforte e Bruxelles.
Alle 18, con la chiusura dei seggi e la diffusione degli exit poll, è prevista l’analisi dei primi risultati. Alle 19 un panel di esperti si confronterà sugli scenari del post-voto: quali le coalizioni possibili, e quali i rapporti di forza tra i partiti. Tra le 20 e le 21, infine, il commento della Elefantenrunde, la “tavola rotonda degli elefanti”, confronto tra i leader politici in onda sulle tv tedesche. Un'occasione unica per leggere i risultati, le prospettive e le possibili conseguenze di queste elezioni sul futuro dell'Unione Europea, delle relazioni transatlantiche e degli equilibri globali.
Lo speciale sarà trasmesso sulla homepage e sul canale Youtube di Adnkronos, con 400 siti collegati tra testate nazionali e network locali online. Le notizie sulle elezioni saranno lanciate in tempo reale dall’agenzia, analisi e interviste pubblicate sulportale Eurofocus.
Roma, 21 feb. (Adnkronos) - "La politica deve essere capace di guidare la narrazione, le trasformazioni, non deve essere esecutrice di decisioni raggiunte in altri ambiti. Meritocrazia Italia chiede un rinascimento della politica, per questo siamo a Firenze. La politica non è solo nei palazzi, parte dal basso e abbiamo ambizioni grandi, anche oltre confine". Lo ha detto Zenaide Crispino, ministro MI Turismo, Cultura, Impresa e Territorio, nel suo intervento al focus dedicato alla Geo cultura in occasione della Direzione nazionale di Meritocrazia Italia in corso a Firenze.
"La geopolitica e la geo cultura si muovono in un gioco di specchi - spiega Crispino - perché si condizionano reciprocamente e il momento storico che viviamo ci pone di fronte a degli scontri asimmetrici. C'è un occidente che si dibatte per mantenere la geocultura, anche al cospetto di un sistema che manifesta delle crepe e delle fragilità. Ci sono Paesi come quelli del Golfo, l'India, la Cina che vogliono riscrivere le regole proprio della geopolitica, si muovono tra capitalismo e autoritarismo, tra egemonia e soft power. Le guerre vogliono riscrivere le frontiere del diritto internazionale. Poi c'è l'Europa, che sembra un po' dispersa tra questi giganti”. A livello internazionale, “sicuramente l'elezione di Trump vede degli Stati Uniti che accelerano sull'indipendenza energetica - illustra - ma che, nello stesso tempo, si svincolano da trattati internazionali che sono stati stilati proprio per una visione coesa internazionale contro il cambiamento climatico. C'è la Cina che, pur essendo uno dei paesi più inquinanti al mondo, ha il monopolio nella produzione delle tecnologie green. C'è l'Europa che insegue, una transizione ecologica giusta, ma tante volte anche ideologica. Ci siamo persi, a volte, perché scollati dalle esigenze delle economie reali".
Ma "l'ambiente non è solo un problema climatico, è anche un problema di sicurezza - sottolinea Crispino - perché dove ci sono delle crisi climatiche si evidenziano anche spesso delle crisi umanitarie e migratorie. Anche in questo caso la politica e la cultura non possono discostarsi l'una dall'altro. Tante volte meritocrazia ha chiesto l'integrazione reale che si basa sull'incontro di quelle culture che vengono in contatto, che restituiscano la tolleranza a chi deve ospitare e la dignità a chi viene ospitato. Questo, a dispetto di un'accoglienza indiscriminata, che invece crea quelle bolle di subcultura che genere illegalità e quindi intolleranza. Anche la giustizia è un elemento essenziale nell'immaginario collettivo. La giustizia deve essere percepita come equa, certa, svincolata dalla burocrazia, deve restituire sicurezza, certezza del diritto, ma anche della pena". Rimarcando l’importanza della politica, Crispino conclude mettendo in guarda sull’affacciarsi di "protagonisti, che sono soggetti privati, che perché dispongono di un potere finanziario tale, hanno la possibilità di gestire asset strategici, la comunicazione, la sicurezza, l'intelligenza artificiale, le energie rinnovabili, fino alla conquista dello spazio. Il mio riferimento non è velato, sto parlando Musk, ovviamente".