Impegni istituzionali dovuti alla carica di eurodeputato. Silvio Berlusconi, il 3 ottobre prossimo, non andrà a Palermo per deporre al processo d’appello sulla trattativa Stato mafia. L’ex presidente del Consiglio ha comunicato la sua assenza ai giudici di Palermo con una nota e ha fatto sapere che, per la data fissata. Il leader di Forza Italia ha comunque dato la disponibilità a essere sentito.

L’ex Cavaliere è stato citato dalla difesa di uno degli imputati, l’ex senatore azzurro Marcello dell’Utri, condannato in primo grado a 12 anni per minaccia a corpo politico dello Stato. A questo proposito, i legali dell’ex premier, nella nota depositata alla Corte d’assise d’appello di Palermo, hanno chiesto ai giudici di chiarire preliminarmente in quale veste giuridica Berlusconi verrebbe sentito. Una questione fondamentale in quanto se l’ex presidente del Consiglio fosse indagato in procedimenti connessi, i giudici dovrebbero sentirlo appunto come indagato di reato connesso. Posizione che, al contrario di quella di teste “puro” consentirebbe a Berlusconi di avvalersi della facoltà di non rispondere. Il nodo dovrà essere affrontato dalla Corte d’assise d’appello, sentita la procura generale e le difese, alle prossime udienze. Nella nota inviata ai giudici l’ex presidente del Consiglio si è comunque detto disponibile a deporre.

Berlusconi, che come si legge nelle nelle motivazioni pagò Cosa nostra fino al 1994, “vittima” della minaccia stragista rivolta da Cosa nostra allo Stato per il tramite di Dell’Utri non è mai stato sentito in aula, né in fase d’indagine. Una circostanza che, secondo il legale dell’ex senatore e fondatore di Publitalia, andava sanata essendo l’esame di Berlusconi “una logica conseguenza dalla qualifica di persona offesa attribuita al medesimo nella sentenza impugnata in quanto destinatario finale della ‘pressione o dei tentativi di pressione’ di Cosa nostra”.

“Se pure non vi è prova diretta dell’inoltro della minaccia mafiosa da Dell’Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell’Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l’associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano“, si leggeva nella motivazione della sentenza di primo grado.

L’ex senatore azzurro, secondo i giudici, avrebbe svolto con continuità almeno fino al 1994 il ruolo di intermediario tra interessi di Cosa nostra e quelli di Berlusconi e ciò sarebbe dimostrato dall’esborso di ingenti somme di denaro da parte delle società di Berlusconi poi versate o fatte arrivare a Cosa nostra. “Si ha la conferma – prosegue la sentenza – che sino alla predetta data Dell’Utri, che faceva da intermediario di cosa nostra per i pagamenti, riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti coi mafiosi ottenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a versarle a cosa nostra“. (Leggi le motivazioni della sentenza)

La corte conclude che “vi è la prova che Dell’Utri interloquiva con Berlusconi anche al riguardo al denaro da versare ai mafiosi ancora nello stesso periodo temporale nel quale incontrava Mangano (mafioso che lavorò come stalliere per Berlusconi ndr) per le problematiche relative alle iniziative legislative che i mafiosi si attendevano dal governo”. “Ciò dimostra – prosegue la corte – che Dell’Utri informava Berlusconi dei suoi rapporti con i clan anche dopo l’insediamento del governo da lui presieduto, perché solo Berlusconi, da premier, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo come quello tentato e riferirne a Dell’Utri per tranquillizzare i suoi interlocutori“. In realtà l’ex premier non si è fatto mai interrogare – se non una volta dal pm Antonino Ingroia nel 2012 come testimone sulla questione dei soldi elargiti a Dell’Utri – ed è indagato a Firenze con l’ex senatore per la strage di via Georgofili.

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