La speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, ha annunciato l’avvio di una inchiesta formale di impeachment per il presidente Donald Trump. “Le azioni del presidente hanno violato la Costituzione. Nessuno è al di sopra della legge”, il suo commento al termine di una serie di incontri con i presidenti di commissione dei dem prima e il suo gruppo dopo. Proprio il sostegno del partito è uno dei nodi per far partire la procedura. Secondo un conteggio, 159 deputati democratici sarebbero favorevoli all’impeachment, mentre 77 sarebbero contrari o non avrebbero preso una posizione pubblica. 218 è il numero di voti necessario per votare l’impeachment, una bomba lanciata sulla campagna elettorale per le elezioni presidenziali del novembre 2020 destinata ad essere forse la più divisiva della storia americana.
Trump viene accusato di aver cercato di “arruolare” un governo straniero al fine di ricevere un aiuto politico utile alla sua rielezione: quello di colpire il suo più probabile avversario alle urne, l’ex vicepresidente Joe Biden appunto. Non solo: Trump è accusato di non aver voluto collaborare con il Congresso che chiedeva chiarezza sulla famigerata telefonata del 24 luglio scorso al leader ucraino Voldymyr Zelensky, quando almeno otto volte avrebbe chiesto di indagare per corruzione sulla società nel cui board sedeva il figlio dell’ex braccio dell’ex numero due dell’amministrazione Obama.
“Il presidente deve essere ritenuto responsabile” per il “suo tradimento alla sicurezza nazionale e all’integrità delle nostre elezioni. Le azioni del presidente hanno violato la costituzione. Nessuno è al di sopra della legge“, ha detto Pelosi in una breve dichiarazione rilasciata davanti alle telecamere di Capitol Hill, la sede del Congresso, dopo aver annunciato la decisione ai vertici dei dem. Donald Trump aveva lasciato da qualche ora il Palazzo di Vetro dove era intervenuto davanti ai leader mondiali dal palco dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Meno vivace e aggressivo del solito, forse un presagio di quanto stava accadendo. La sua amarezza, come al solito, è affidata ad un tweet: “Un giorno così importante alle Nazioni Unite, un così grande lavoro e un così grande successo, e i democratici deliberatamente dovevano rovinare e sminuirlo con altre breaking news. Che brutta cosa per il nostro Paese!”
rump ha fatto poi sapere di aver “autorizzato la diffusione domani della completa, completamente declassificata e senza omissis trascrizione della telefonata con il presidente ucraino Zelensky” e ha affermato che in questo modo “si vedrà che è stata una telefonata molto appropriata ed amichevole”. Comunque “se lo fanno molti dicono che sarebbe positivo per me alle elezioni. Nessuna pressione, a differenza di Joe Biden ed il figlio, nessun ‘do ut des'”, ha aggiunto, concludendo che il Kievgate non è “altro che la continuazione della più grande e più distruttiva caccia alle streghe di tutti i tempi”.
Pelosi, terza carica dello stato, prende la decisione dopo mesi e mesi di resistenze, quando già parte del suo partito premeva per il grande passo, legando la richiesta alle indagini sul Russiagate condotte dal procuratore speciale Robert Mueller. Non convinta che quella fosse la strategia giusta, Pelosi è riuscita a domare quella crescente voglia di messa in stato di accusa del presidente, convinta che potesse tramutarsi in un boomerang per i democratici. Ma ora, di fronte al caso Ucraina e all’ammissione del tycoon di aver fatto pressioni su Kiev per indagare il figlio di Joe Biden, la veterana senatrice californiana non ha ha avuto più scelta.
Dopo l’annuncio di Pelosi, la Casa Bianca ha fatto sapere di essere pronta a consegnare al Congresso entro la fine della settimana sia la denuncia dell’informatore che ha segnalato la telefonata di Donald Trump al leader ucraino Voldymyr Zelensky, sia il relativo rapporto dell’ispettore generale, i due atti chiave di tutta l’inchiesta per impeachment. L’avvio della procedura per la messa in stato d’accusa del Presidente potrebbe partire così già giovedì, secondo alcuni media statunitensi. Il 26 settembre è infatti prevista in calendario un’audizione alla Camera di un funzionario dell’intelligence di Trump, ma soprattutto scade il termine per la consegna al Congresso dei documenti relativi al caso Ucraina. L’ipotesi di una messa in stato d’accusa ha aperto il dibattito non solo all’interno del Partito, ma anche in area repubblicana. Si sono infatti uniti al coro di voci democratiche, che vedono nell’impeachment “l’unica soluzione”, anche Bill Weld, candidato alle presidenziali, che accusa Trump di “tradimento“ e Joe Walsh, altro candidato repubblicano alla Casa Bianca. Convinto che “non vi sia altra scelta” se il presidente non sarà “disponibile alle richieste di informazioni richieste dal Congresso” sulla vicenda delle telefonata con il presidente ucraino è soprattutto lo stesso Joe Biden.
Ora però si apre una partita difficilissima anche peri democratici, i cui esiti sono quanto mai incerti. I ben informati sostengono che il tycoon in privato sia convinto che la scelta dell’inchiesta sull’impeachment potrebbe invece avvantaggiarlo, portando la campagna elettorale su di un terreno a lui più congeniale, danneggiando alla fine solo i democratici. I timori di sempre della riluttante Nancy Pelosi. La prima carta che giocherà Trump sarà quindi quella di rendere pubblica la trascrizione del colloquio con Zelenski, per dimostrare che tra le mura dello Studio Ovale non si è consumato alcun tradimento.