Politica

Legge elettorale, la Lega cerca il sì di 5 consigli regionali per referendum anti-proporzionale. Ok in Veneto, Sardegna, Lombardia e Friuli

Discussione in corso in Liguria e Piemonte. Calderoli: "Lunedì depositiamo il quesito in Cassazione". La protesta delle opposizioni: "Consigli regionali trasformati nella succursale di via Bellerio". Il caso di due consigliere M5s sarde: votano a favore

Il Veneto, la Sardegna e la Lombardia e il Friuli hanno già dato il via libera, giovedì voterà la Liguria e in moto c’è anche l’assemblea del Piemonte. La proposta referendaria per l’abrogazione parziale del Rosatellum (della sua parte proporzionale) passa attraverso i consigli regionali guidati dal centrodestra tra voti favorevoli, qualche inciampo e le proteste delle opposizioni. È l’arma “imposta” da Matteo Salvini alle Regioni in cui la Lega è nella maggioranza o guida la Giunta per provare a frenare, almeno sotto il profilo politico, la volontà di M5s e Pd di impostare una riforma su un modello proporzionale.

Quanto la mossa sia efficace o più banalmente “pura propaganda”, come l’hanno bollata le minoranze nei consigli regionali, è tutto da capire. L’idea leghista – sulla quale man mano sta convergendo anche Forza Italia – è l’approvazione della richiesta del referendum per abrogare la quota di proporzionale esistente della legge elettorale nazionale, anche se Forza Italia spinge per una riduzione a fronte di un appoggio all’idea del Carroccio. Con il voto favorevole di cinque Regioni – la Lega è in maggioranza in 6 – è possibile indire la consultazione popolare. Perché il referendum abrogativo si tenga nel 2020 è necessario che i 5 ok arrivino entro il 30 settembre, data ultima per depositare il testo in Corte di Cassazione. Una corsa contro il tempo che Roberto Calderoli si dice certo di vincere: “Lunedì mattina andremo a depositare il quesito referendario, in questo modo sarà possibile far esprimere gli italiani già in primavera”. L’ultima volta che gli italiani sono stati chiamati a scegliere, era il 1993, votarono proprio a favore di una legge di impianto maggioritario, da cui nacque poi il Mattarellum.

I primi a dire sì sono stati il Veneto e la Sardegna: mercoledì mattina la proposta è passata con 28 voti favorevoli (ne bastavano 26), 7 contrari e 3 astenuti di fronte alla guinta di Luca Zaia e con 37 voti a favore e 21 contrari sull’isola. Tra i ‘sì’ c’è stato anche quello di Carla Cuccu e Elena Fancello, consigliere M5s, contro l’indicazione del gruppo. “Non ci aspettavamo questa posizione che va contro il gruppo M5s sardo e contro le direttive del movimento nazionale, ma ne prendiamo atto”, ha dichiarato la capogruppo Desirè Manca. “Certamente”, ha risposto a chi le chiede se sarebbero stati presi provvedimenti. “Il Movimento a livello nazionale è già informato di quanto accaduto oggi – ha aggiunto – ma non entro nel merito delle azioni o non azioni dello staff”.

Nel pomeriggio è arrivato il via libera con 46 voti a favore anche del consiglio lombardo che era riunito in via straordinaria e ha tirato dritto nonostante le proteste dell’opposizione. Il consigliere del Pd, Filippo Bussolati, si è presentato in Aula indossando una felpa verde con la scritta Padania is Not Italy, vecchio slogan leghista. Al di là del folkore, sia i dem che i Cinque Stelle hanno presentato due pregiudiziali di costituzionalità, controfirmandole a vicenda. Una volta messe ai voti e respinte, le opposizioni hanno lasciato Palazzo Pirelli mostrando cartelli con su scritto: “Il Consiglio regionale non è via Bellerio”, strada dove ha sede il Carroccio.

Per Michele Usuelli, consigliere regionale di +Europa e unico delle opposizioni a rimanere in Aula, la richiesta è “pura propaganda” perché “il quesito è inammissibile e verrà respinto” dalla Corte costituzionale. “Il vero scopo della Lega è poter gridare al colpo di Stato quando ciò avverrà”, aggiunge. “Hanno voluto trasformare il Consiglio regionale in una succursale della sede della Lega, negando ogni dibattito e approfondimento su un tema che riguarda la democrazia”, ha commentato il capogruppo Pd, Fabio Pizzul. “Hanno agito sotto diktat di Salvini e questo è francamente intollerabile, se vogliono svilire l’istituzione lo faranno da soli, senza di noi. È una questione di rispetto della Regione e di chi essa rappresenta, non di maggioritario sì o maggioritario no, su cui il Parlamento avrà modo di discutere in modo serio e approfondito nei prossimi mesi”, ha concluso.

Via libera anche dal consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia. Il provvedimento è passato con i sì del centrodestra, che ha votato compatto, e i no delle opposizioni. Il voto è arrivato al termine di un lungo dibattito in Aula. L’esame del provvedimento era cominciato questa mattina, in apertura di seduta del Consiglio regionale, su richiesta del capogruppo della Lega Mauro Bordin: l’Aula aveva approvato a maggioranza la procedura d’urgenza.

La discussione è iniziata anche in Piemonte, dove però la prima seduta non è stata seguita dal governatore forzista Alberto Cirio. Il presidente è stato impegnato in un incontro con i lavoratori dell’ex Embraco, il Pd ha però attaccato: “Evidentemente ha preferito disertare i lavori consiliari causa imbarazzo, visto che è costretto in Piemonte a piegarsi ai diktat leghisti mentre a Roma Forza Italia ha deciso di astenersi sulla proposta di referendum elettorale”. Cirio però tira dritto: “Nessun atto politico, anzi noi abbiamo una chiara volontà di cambiare la legge elettorale perché la gente voti, e chi vince possa governare. Questa è una volontà da sempre di Silvio Berlusconi e di tutto il centrodestra. Quindi piena sintonia sia all’interno del partito che nella coalizione”.

Giovedì toccherà al Consiglio regionale della Liguria e Giovanni Toti dovrà fare i conti con una prima bocciatura dell’idea del Carroccio, a cui il suo movimento Cambiamo fondato dal governatore è assai vicino. Martedì infatti la commissione Affari costituzionali ha detto no alla proposta di referendum abrogativo: la votazione è finita 15 a 15 e la maggioranza dovrà ritrovare i propri equilibri durante la discussione in consiglio.