Mi chiedo da ieri se non ci sia Donald Trump dietro l’avvio della procedura d‘impeachment contro Donald Trump. No, non sono impazzito. O, almeno, non credo di esserlo. Temo, sostanzialmente, che si tratti d’una trappola approntata dal magnate presidente, che sarà lessicalmente rozzo, ma che non manca della furbizia del sensale. Una trappola in cui i democratici rischiano di cadere, se non ci sono già caduti. E temo che l’iniziativa possa rivelarsi un boomerang, anzi un doppio boomerang.
Cerco di spiegarmi. L’impeachment è la procedura con cui il Congresso può destituire il presidente degli Stati Uniti: non è di per sé eccezionale, perché è stata avviata più volte nella storia dell’Unione (e molto più spesso è stata evocata), ma la sua peculiarità è che non è mai andata in porto. Ne scampò nell’800 Andrew Johnson, il successore di Abraham Lincoln. Come ne scampò, vent’anni fa, Bill Clinton; e, tecnicamente, ne scampò pure Richard Nixon, perché si dimise prima di subirlo.
Dunque, è una strada che si può imboccare, ma che non è affatto sinonimo di successo. Per di più, nell’attuale assetto politico degli Stati Uniti, mettere sotto procedura Trump è possibile, intrecciando quanto emerso nel Russiagate e quanto, magari, sta per emergere nel Kievgate; perché la decisione di sottoporre il presidente a impeachment spetta alla Camera, dove i democratici sono maggioranza. Ma il giudizio spetta al Senato, dove i repubblicani sono maggioranza (e allo stato non c’è segnale che possano mollare il presidente in carico).
Fin qui la trappola: Trump, con i suoi comportamenti al limite del lecito, e magari oltre il limite, che gli vengono naturali, induce i democratici all’impeachment e ne esce assolto. Ma ci sono altre due considerazioni boomerang. La prima è che la scelta dell’impeachment, con dossier d’accusa non solidissimi, almeno finora, crea intorno al presidente, che già se n’ammanta, un alone di – diremmo noi – fumus persecutionis e ne fa una vittima dei democratici “politicanti”: non riescono a batterlo con i voti e provano a farlo fuori con i cavilli.
La seconda è che tutto ‘sto cancan intorno a Joe Biden sembra favorirne la nomination democratica alla Casa Bianca, perché, di riffa o di raffa, il Kievgate crea anche intorno a lui un fumus persecutionis. E fa passare il messaggio che Trump lo teme e cerca di azzopparlo, e che, quindi, possa essere lui il cavallo su cui puntare. E, invece, se c’è un candidato che Trump sarebbe contento di trovarsi di fronte, nell’Election Day, il 3 novembre 2020, è proprio Sleepy Joe, più vecchio di lui, più establishment di Hillary Clinton e lento a cogliere al balzo nei dibattiti la palla della battuta (lì dove Donald lo showman è fortissimo).
Allora, alla fine ci troveremmo, anzi si troverebbero i democratici, con un presidente perseguito e assolto, rafforzato dal clima di persecuzione di cui si ammanterebbe (“la ‘caccia alle streghe’ più grande mai allestita”) e con un candidato un po’ andato, una brava persona che non entusiasma né la sinistra né le minoranze. E allora, siamo proprio sicuri che tutta ‘sta manfrina dell’impeachment non l’abbia innescata Donald “la volpe” Trump?