Anche Giuseppe Conte se n’è accorto. All’assemblea dell’Onu di New York ha raccontato al mondo il pericolo del ghiacciaio Planpincieux, che incombe minaccioso su Courmayeur. Per sua informazione, vorrei dirgli che i ghiacciai si sciolgono da un pezzo (meglio tardi che mai, però). Lo spiegano, con dovizia di studi, gli scienziati: dal 1961 al 2016 le tonnellate perse sul pianeta sono state 9.625. In Italia, nel 1962 la superficie ricoperta dal ghiaccio era di 509 chilometri quadrati. Oggi arriva a 368. Lo scioglimento è responsabile del 30% dell’innalzamento dei mari dal 1961 a oggi. Un disastro.
Non voglio essere polemica a tutti i costi, ma i dati sono questi. E l’allarme serio. Con gli amici di Europa Verde della Val d’Aosta e delle regioni montane, al di qua (Italia) e al di là delle Alpi (Francia, Austria, Germania, Svizzera), decideremo a breve alcune iniziative che tengano desta l’opinione pubblica internazionale e quella del governo italiano che, per ora, soffre di approssimazione. A essere generosi. Seguitemi e ve ne renderete conto.
A New York Giuseppe Conte ha detto che l’Italia azzererà le emissioni di CO2 nel 2050. Sarà. Finora l’unico atto approvato dal governo è il Piano clima ed energia inviato all’Europa a gennaio che non raggiungerà il bersaglio, e per questo l’Unione europea ha inviato una lettera di richiamo all’esecutivo. Il piano non va nella direzione indicata dall’Onu a Parigi, la Cop 21, perché prevede come obiettivo per il 2030 di incrementare la produzione di energie rinnovabili del 30% (la Germania del 65%) e di ridurre i gas serra del 37% (la Germania vuole arrivare al 55%).
Tedeschi più virtuosi? Sicuramente più consapevoli. L’Agenzia europea per l’Ambiente, come ha scritto ieri Angelo Bonelli sull’Huffington Post, ci dice che in Italia il costo economico, sociale e sanitario dell’inquinamento è pari a 80 miliardi di euro all’anno, quasi il 4% del Pil, provoca ogni anno più di 80mila decessi e produce un costo di 1.350 euro a persona, bebè compresi, per lo Stato.
In Italia il trasporto pubblico è carente, per usare un eufemismo. I chilometri di metropolitana sono 234, Madrid da sola ne ha 290. In Germania sono 630, in Gran Bretagna 680. I treni ad alta velocità si arrestano a Salerno – Carlo Levi si fermò da quelle parti, a Eboli – e spaccano in due il paese. Le tratte locali, salvo poche, lodevoli eccezioni, funzionano poco e male, quando non sono state soppresse.
La conversione ecologica che chiediamo con forza è roba forte e seria. E deve partire dai ceti sociali deboli e svantaggiati, più esposti al disastro ambientale. O sarà così o non sarà. Punto. Investire sul trasporto pubblico, ad esempio, dev’essere una priorità. Ancora una volta Bonelli coglie nel segno: bisogna allargare la base di chi beneficia dei bonus per gli abbonamenti e introdurre detrazioni fiscali per chilometro percorso. La Germania, sempre lei in cima ai “virtuosi”, considera 35 centesimi di euro a chilometro.
L’introduzione della Carbon Tax, tassare le produzioni che emettono più CO2, deve permettere di tagliare le bollette elettriche, ridurre la tassazione sugli stipendi e favorire gli investimenti tecnologici per la riduzione delle emissioni. Con un livello iniziale di 20 euro per tonnellata, le entrate sfiorerebbero gli otto miliardi.
In altre parole, noi vogliamo una finanziaria che, partendo da interventi per la risoluzione dell’emergenza climatica e ambientale, tuteli le classi medie e povere con incentivi in base al reddito. Più basso è il reddito, più alto deve essere l’incentivo.
Il climate change ha smascherato la favola della crescita economica eterna. Ma molti continuano a guardare dall’altra parte e se la prendono con Greta Thunberg, accusata di ogni nefandezza dai sovranisti di mezzo mondo, Italia compresa, e sbeffeggiata da numerosi, cosiddetti, liberali (che Einaudi li perdoni!). Ai loro occhi, al di là delle invettive razziste di cui non voglio neppure tenere conto e che si commentano da sole, Greta paga l’imperdonabile colpa di essere giovane, di avere 16 anni, di rappresentare la rivolta dei giovani di tutto il mondo che rivendicano il diritto di abitare il pianeta, di vivere la loro vita, più equa, più giusta, più solidale. Più “verde”.
In altre parole, Greta rischia di essere il Karl Marx del nuovo millennio, rischia di essere per i giovani quello che Marx fu per il proletariato: “giovani di tutto il mondo unitevi!”. E questo i potenti non glielo perdonano. Anche perché Greta non parla di un’ideologia (e quindi discutibile), ma di azioni non più prorogabili (e quindi indiscutibili).
Permettetemi di essere scettica. Il governo italiano può e deve fare molto di più. Basta, caro Conte 2, con le frasi generiche, quelle che vanno bene per tutte le stagioni, come “chiederò un patto con tutto il modo industriale e produttivo”: ci aspettiamo proposte e non omissioni. Qualcuno parla di modifiche agli incentivi alle fonti fossili? Di cambiare la legge sugli sversamenti dei fanghi industriali nei terreni agricoli? Di rivedere le concessioni per le spiagge o i condoni edilizi? Se la risposta è sì, provate a rileggere con più attenzione i media degli ultimi giorni perché questo governo ha invece fatto poco o nulla. Solo chiacchiere, chiacchiere e distintivo.
Le dichiarazioni di Roberto Morassut, sottosegretario all’ambiente (a sua insaputa?) del Pd, sui termovalorizzatori gettano poi una luce sinistra sulle reali intenzioni del Conte 2 anche per quel che riguarda gli inceneritori.
E per finire, un cenno a Milano, la mia città. Il Global Strike coincide con la Green Week, giornate dedicate al verde, all’ambiente, alla sostenibilità. Una concomitanza significativa che sottolinea una nuova (e benefica) attenzione all’ambiente, ma che poco ci azzecca con alcune scelte recenti della giunta di Giuseppe Sala, come ospitare il Motor Show (la cultura della velocità su quattro ruote non era in crisi?) o la Notte della ricerca che, per l’ennesima volta, stressa la fragile natura dei Giardini Montanelli. Non conosco altri paesi europei che ospitano manifestazioni nei giardini pubblici storici e monumentali con tanto dispiego di infrastrutture ad alto impatto ambientale.
Se Milano vuole essere fino in fondo una capitale europea, deve capire che i beni comuni non sono sempre, e comunque, a disposizione dei privati: i giardini pubblici devono fare “i giardini pubblici”. Lo abbiamo detto tante volte e, da ultimo, per il raduno degli ultras dell’Inter. Lo ribadiamo oggi.