Assolto perché il fatto non costituisce reato. Con questa formula il gip Silvia Carpanini ha assolto dall’accusa di eccesso colposo di legittima difesa l’agente che il 10 giugno 2018 uccise con sei colpi di pistola il ventenne Jefferson Tomalà, che minacciava il suicidio armato di una coltello da cucina.

In attesa dell’autorizzazione del trattamento sanitario obbligatorio, gli agenti fallirono i tentativi di trattare con il ragazzo e, nel tentativo di disarmarlo, fecero irruzione nella sua stanza spruzzando spray al peperoncino. Oggetto del processo solo l’ultima fase, convulsa, delle operazioni, quando per difendere l’agente che ha ritenuto opportuno spruzzare lo spray urticante nel piccolo spazio chiuso dalla reazione rabbiosa di Jefferson, un collega era stato colpito più volte e, in grave pericolo di vita, era stato difeso dallo stesso agente che aveva reso l’aria irrespirabile, che in quella situazione, secondo il giudice, non poteva far altro che sparare. “E sei colpi sono stati quelli necessari per rendere inoffensivo il ragazzo che, in quel momento, era completamente fuori controllo e pericoloso” come spiega l’avvocato dell’agente assolto. Il processo si è svolto questa mattina a porte chiuse, con rito abbreviato e le motivazioni della sentenza saranno depositate tra 60 giorni, ma la polemica non si placa. “Non è giusto, come si fa ad assolvere uno che ha ammazzato un ragazzo che non faceva nulla? È assurdo ed è da criminali – si sfoga la madre di Jefferson Tomalà -. Neanche il peggiore criminale si potrebbe uccidere nel suo letto”.

Per il giudice il poliziotto ha reagito in modo proporzionale rispetto alla gravità della situazione e non aveva alternative, ma perché una situazione del genere, un tentativo di suicidio, è potuta degenerare e sfuggire completamente dal controllo? È questo l’interrogativo degli amici e dei familiari che hanno atteso la sentenza fuori dal tribunale continuano a ripetere: “Si sono soffermati sulle ultime fasi dell’operazione – spiegano – ma hanno chiuso gli occhi sulle modalità di intervento che hanno portato all’omicidio, nessuno è stato chiamato a rispondere sul suo operato e – non avendo messo in discussione l’azione – potrebbe succedere ancora ad altri.”

Inoltre ricordano che, in teoria, i trattamenti sanitari obbligatori (TSO), dovrebbero prevedere la convalida del provvedimento da parte del sindaco, ma nella pratica raramente avviene così: ”Gli operatori non attendono e, quasi sempre, la convalida arriva quando il paziente è già ricoverato.”

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