Sono ormai passati cinque anni e le famiglie ancora non sanno cosa sia successo davvero. Un padre: "Non c'è pace nei nostri cuori"
Sono ormai passati cinque anni e tutto quello che hanno ottenuto i familiari dei 43 studenti di Ayotzinapa, scomparsi la notte del 26 settembre del 2014, è solo la cosiddetta “verità storica”, poi ribattezzata “bugia storica”. Secondo la versione ufficiale di quanto accaduto quando era al governo l’ex presidente messicano Enrique Peña Nieto, gli studenti furono arrestati dalla polizia municipale di Iguala, e poi consegnati ai membri di un noto gruppo criminale della zona, i Guerreros Unidos, che li assassinarono e bruciarono i resti in una discarica di Cocula.
Una versione rifiutata nel 2015 dal Gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti (GIEI), designato dalla Commissione Interamericana dei diritti umani, oltre che da familiari, attivisti e dall’attuale presidente Manuel Lopez Obradordi, cui uno dei primi atti è stato il decreto per costituire la Commissione per la verità sul caso Ayotzinapa. Un anniversario che quest’anno si è iniziato a celebrare il 14 agosto, cioè 43 giorni prima dalla data di
quel sequestro di massa, con un conto alla rovescia in cui ogni giorno si ricorda uno dei 43 ragazzi con una campagna attraverso anche sulle reti sociali e gli hashtag #YoConLaVerdad e #Ayotzinapa5años.
Intanto sta suscitando aspre critiche e grande indignazione la liberazione di 24 degli accusati della scomparsa dei giovani. Con la loro scarcerazione arriva a 77 il numero degli accusati che hanno lasciato il carcere, mentre altri 65 continuano a rimanere detenuti. I 24 scarcerati erano poliziotti di Iguala, Cocula e Huitzuco, municipi dello stato di Guerrero, quando furono arrestati i 43 studenti. Per Alejandro Encinas, sottosegretario di Governo e titolare della Commissione per la verità sul caso Ayotzinapa, si tratta di un “un grave precedente”, “un affronto” alle indagini della Commissione, perché “rappresenta la corruzione, incapacità e parzialità del regime precedente, lasciando in libertà coloro che hanno depistato le indagini o commesso dei crimini”. Ecco perché la Procura generale della Repubblica presenterà ricorso contro l’ex procuratore generale, Jesús Murillo Karam, l’ex titolare dell’Agencia di Investigazione criminale, Tomás Zerón, e l’ex titolare dell’unità speciale del caso, José Aarón Carro, anche se è probabile che ci saranno altre liberazioni dopo il compimento del quinto anniversario.
Anche i familiari dei 43 studenti si sono lamentati con la Procura generale per la lentezza delle indagini e la liberazione di persone implicate nel caso, e hanno chiesto di fare chiarezza sulla presunta responsabilità del comando militare durante il precedente governo. “È necessario indagare su chi ha fabbricato questa enorme bugia – ha detto Hilda Legideño, una delle madri – Devono sapere cosa è successo veramente quel giorno o perché. Perché fabbricare questa grande bugia che ha fatto così tanti danni?”. Se non si procederà penalmente contro chi ha ostacolato le indagini o violato i diritti umani, ha aggiunto Santiago Aguirre, direttore del Centro Prodh, che rappresenta legalmente i familiari, “quasi sicuramente non si romperà il muro di impunità che oggi impedisce di conoscere” la verità. Lopez Obrador, nel secondo incontro avuto qualche giorno fa con i familiari dei giovani, si è impegnato a far rivelare all’Esercito tutte le informazioni disponibili sul caso, e a che la Procura generale li riceva. “A quasi cinque anni dalla scomparsa dei nostri figli la ferita è ancora aperta – ha aggiunto Emiliano Navarrete, padre di uno degli studenti – Non c’è pace nei nostri cuori, né nelle nostre famiglie”.