FATTO FOOTBALL CLUB - "È sbagliato quello che fa buuu a un giocatore di colore, ma è ancora più sbagliato chi si lascia cadere in area”: le parole del presidente del Coni, seppur smorzate dal tentativo di lenire la gaffe, ricordano per tempismo e modalità inopportune alcune uscite dell'ex presidente della Figc
Il paragone è un po’ azzardato, Giovanni Malagò ci perdoni (ma forse non farà piacere nemmeno al buon vecchio Carlo Tavecchio, i rapporti non sono mai stati idilliaci). Per un momento ieri l’elegante presidente del Coni, dalla parlantina sciolta e il portamento sempre inappuntabile, ci ha ricordato l’ex presidente della FederCalcio: personaggio non proprio oxfordiano: dalle banane di Optì Pobà a dire che le simulazioni sono peggio dei buuu razzisti il passo non è proprio breve, ma neppure lungo come dovrebbe essere. Specie a certi livelli istituzionali, in un momento così delicato per il nostro calcio (e tutto il nostro sport).
In una lunga intervista a Radio24, ieri Malagò ha parlato di tutto e più di tutto, ma quando si è trovato a commentare gli ultimi episodi di razzismo in Serie A il suo ragionamento si è inceppato. “Un calciatore che platealmente fa finta di subire un fallo fa una cosa gravissima, che esempio si dà. È sbagliato quello che fa buuu a un giocatore di colore, ma è ancora più sbagliato chi si lascia cadere in area”. Come a dire: peggio le simulazioni del razzismo. Uno scivolone mediatico, un’assurdità, una vera e propria gaffe. Lui se ne dev’essere subito accorto (o qualcuno glielo deve aver fatto notare), tanto che immediate sono partite smentite e precisazioni: “Nessuna polemica, ho solo detto che quando i tifosi fanno cose sbagliate fanno un danno enorme al calcio, così come tutte le altre componenti del mondo del pallone”. “Il senso della dichiarazione – ha aggiunto una nota – va interpretato con l’univoca chiave di lettura che verte sul doveroso richiamo alla responsabilità di tutti”.
Caso chiuso? Sì, fino a un certo punto. La toppa è servita a chiarire il pensiero del presidente del Coni (se mai ce ne fosse bisogno: nessuno ha pensato che una persona come Malagò potesse davvero giustificare i razzisti), non a cancellare l’eco negativa dell’intervento. Perché fare una graduatoria fra comportamenti deplorevoli? Come se si potesse paragonare un gesto antisportivo di un atleta in piena foga agonistica ad un comportamento di grave inciviltà sociale. Ma soprattutto, perché farla proprio in questo momento in cui la Serie A è di nuovo alle prese con i soliti casi di razzismo negli stadi? Quanto visto nell’inizio di questa stagione non è una novità. Da sempre nel pallone, in tutte le categorie, sugli spalti e in campo, si verificano episodi di discriminazione varia: due ogni domenica, come raccontato da un censimento effettuato da Il Fatto Quotidiano a fine 2018. Se non è una vera e propria emergenza, è di sicuro un problema. Serio. Che va affrontato con fermezza, senza alibi. Invece il nostro calcio continua a lanciare messaggi equivoci, come i comunicati del Verona che difende la sua curva, le parole di Gasperini che sminuisce l’accaduto (quasi accusa Orsato di aver interrotto la partita), il giudice sportivo che archivia senza alcuna sanzione gli ululati a Lukaku e Kessiè.
Ecco, le parole di Malagò suonano un po’ allo stesso modo, contribuiscono ad alimentare la sensazione che i vertici sottovalutino il fenomeno. Per questo sono sbagliate. Sono anche inopportune dal punto di vista istituzionale e politico, in un momento in cui il presidente della Fifa Infantino punta il dito contro l’Italia e il neoministro Spadafora rilascia all’estero interviste in cui promette di intervenire (vedremo come, ma rispetto a Salvini che bollava i cori come “goliardia” è già un passo avanti). Del resto non è la prima volta che a Malagò capita di avventurarsi su terreni scivolosi, specie quando magari è poco sereno e quindi lucido, come qualche mese fa quando evocò il fascismo per descrivere la riforma voluta dal governo gialloverde. In questo, allora, davvero ha ricordato un po’ Tavecchio. La differenza fra i due è chiara: Optì Pobà era frutto della retorica arrugginita di un vecchio dirigente, non cattivo e nemmeno razzista, abituato a palcoscenici minori e schemi mentali arretrati (che per l’offesa fu anche sospeso dalla Uefa); quella di Malagò invece è solo la gaffe di chi a parlare (e straparlare) è abituato pure troppo. L’effetto, però, non è molto diverso. La nostra è solo una provocazione. Ma in fondo lo era pure quella di Malagò, piuttosto mal riuscita.