Scuola

Scuola, per i genitori di bimbi disabili questi sono giorni durissimi. Eppure basterebbe un caffè per migliorarli

Giorni durissimi per i genitori che devono inserire a scuola i propri bambini disabili. Va detto che un miglioramento nell’ultimo ventennio si può constatare, ma ancora di strada da percorrere ne abbiamo tantissima.

Si sono rivolti a me alcuni genitori e siamo alle solite: scuole primarie che avvisano mamma e papà che il loro figlio necessita di presenze che non sono presenti. La scuola dei fantasmi ha l’organico incompleto e quindi il bambino disabile, siccome ha meno occasioni di essere integrato e incluso, lo possiamo anche abituare fin da subito ad attendere che la mostruosa macchina burocratica si azioni fino a lui. Quindi la mensa non è coperta, il cambio neanche e il sostegno ridotto. “Prendetelo prima”, “portatelo tra una settimana” e altre aberrazioni simili.

Genitori spesso giovani e ancora sofferenti, comunque provati dalla spasmodica ricerca di cure, terapie e soluzioni che si sentono scivolare nel baratro della serie Z. Non genitori, ma nullità.

Lo zainetto nuovo del loro bimbo è lo stesso degli altri, ma non sembra poi così allegro e colorato. Le scarpe ai piedi del loro bambino costano un patrimonio anche psicologico, perché è stata durissima provarle in carrozzina dentro un negozio di sport nato per correre e saltare e ora sembra tutto così inutile. Il sorriso del loro bimbo ogni giorno si spegne quando nel chiassoso corridoio tutti in fila vanno verso la mensa e lui invece va fuori dalla scuola, in un percorso deserto, perché per tutti gli altri è pieno orario e solo per lui è già finita la copertura. Questo figlio di tutti noi, come tutti gli altri, spinto da una mamma e un papà che trattengono a stento le lacrime.

Genitori che non riescono a capacitarsi della dimensione che li sta risucchiando. Genitori non sempre in coppia, che non sono pronti al Glh convocato solo per loro. Non sono pronti a partecipare al gruppo di équipe. Non riescono a comprendere la diversificazione di tutto. Il loro figlio viene nominato con le sole iniziali in maiuscolo perché così impone la privacy. Essi sono felici perché in giro si dice che la privacy è una cosa importante, ma in fondo si chiedono perché invece sulla porta della classe sia scritto chiaramente il nome del compito assegnato ad ogni bambino. Tutti possono sapere che Marco sparecchia con Luca e Maria e che Matteo con Sofia svuoterà il cestino. Perché invece sulla riunione è scritto che si parlerà di B.G.?

Una mamma mi grida al telefono: io non la voglio la privacy! Io voglio che mia figlia sia chiamata con il suo nome sempre. La stringo e penso a quando litigai per far mettere il fiocco rosa al portone dopo la nascita di Diletta. Genitori che non sono pronti alla guerra delle competenze e a difendere il decoro e la dignità della loro esistenza umana di famiglia.

Raccolgo sfoghi che ogni volta mi portano indietro negli anni e mi restituiscono quella grande energia utile a precipitarmi dove serve, perché sento il piacere egoista di rispondere finalmente ciò che 15 anni fa non riusciva ad uscire dalla gola stretta dalle lacrime. Già, noi madri ormai vecchiotte nel giro della disabilità non siamo buone e altruiste. Stiamo solo restituendo il male incorporato quando, giovani e inesperte, subivamo in silenzio senza riuscire a reagire.

In realtà non è vendetta, ma voglia di risparmiare ferite che ancora a volte fanno male. O almeno lenirle. Ognuna di noi ha avuto la sua tutor, generalmente una mamma più grande che è corsa in nostro aiuto come fosse una sorella maggiore, anche se in realtà non ci eravamo mai viste in faccia. Passerà ottobre e poi coloro che avranno i figli disabili gravi alle superiori dovranno gestire le occupazioni, autogestioni e simili che naturalmente ributtano a casa i più fragili.

Scrivo questo post su suggerimento di alcuni genitori che mi chiedono di raccontare questo pezzo di realtà. A scuola dei vostri figli, aiutate quella mamma che esce sempre sola e che appare acida e nervosa. Offritevi di prendere un caffè insieme o di far stare insieme i vostri figli. Ricordatevi però che state facendo bene anche a voi stessi. Perché è fastidioso cogliere quelle frasi di pietismo e di voglia di solidarietà che poi fa curriculum.

Auguro a tutti di potersi concedere il tempo e lo spazio di un gesto significativo, di una parola che cambi il senso di una giornata, di una lezione totalmente fuori dagli schemi e che faccia la storia di quel gruppo classe che include. Accadrà. Perché accade già. Possiamo fare in modo che accada sempre più spesso fino a diventare la semplice ordinaria quotidianità. E questo dipende da ognuno di noi. Buon anno scolastico a tutti.