Fatima Bushra, 48 anni residente a Castillejos, cittadina marocchina alle porte dell’enclave spagnola Ceuta, all’alba di venerdì scorso è morta cadendo su uno scoglio a fianco del varco frontaliero di Tarajal II: di qua il Marocco e il continente africano, di là Ceuta, località balneare, Spagna, Europa. Fatima su quel costone c’era andata per espletare i propri bisogni fisiologici dopo quasi due giorni di estenuante attesa proprio al varco doganale. Addosso il pesante fardello di merci che lei e altre centinaia di mujeres porteadores trasportano da un continente all’altro due-tre volte la settimana. Per abbattere i costi di trasporto e le tasse, i clienti preferiscono affidarsi sempre di più a queste “spallone” (ormai sono la maggioranza rispetto agli uomini, più o meno 60-40 per cento), donne trasformate in veri e propri muli a cui affidare le consegne.
E’ il punto più basso dello sfruttamento umano, un lavoro pagato da fame e con una serie di assurdi danni collaterali. Il fenomeno delle ‘donne portatrici’ è tipico di questa zona del nord Africa e del mondo e coinvolge tutte marocchine di età diverse, disposte a sforzi immani pur di garantire un’entrata in famiglia. Oltre a compensi ridicoli sono le condizioni di lavoro ad essere estreme, con le donne bloccate per ore, addirittura giorni, alla dogana, in fila per non perdere il posto, senza acqua, senza altri beni di sussistenza e senza neppure una toilette. In realtà l’ostacolo principale per le mujeres porteadores è rappresentato dalle autorità frontaliere, marocchine e spagnole, zelanti all’esagerazione fino al punto di costringere le poverette ad attese infinite ed ingiustificate.
Come accaduto la settimana scorsa a Fatima Bushra, portatrice esperta originaria di Sidi Kacem (Meknes) e madre di cinque figli. Per i soliti motivi di ‘sicurezza’, anche l’altra mattina la polizia di frontiera sul lato marocchino ha continuato a bloccare l’accesso delle donne e delle merci attese dai contraenti, pronti a rivenderle al mercato di Ceuta, proprio al di là della frontiera e delle reti per tenere lontano gli assalti dei migranti. Tra loro Fatima, ferma da quasi 48 ore davanti ai doganieri e stivata assieme a decine di colleghe in un budello di asfalto nascosto agli occhi dei turisti, indirizzati verso la porta principale. Senza il lasciapassare, simile ad un biglietto di viaggio, concesso dalle due autorità doganali non è possibile entrare a Ceuta.
Poco dopo le 5, esausta, Fatima ha chiesto ad una collega di tenerle il posto per qualche minuto, il tempo di uscire da quel buco e trovare uno spicchio di privacy per fare pipì. La donna è salita sulla barriera di scogli che protegge l’enclave (barriera naturale anti-irregolari), attigua al varco. Pochi istanti e la caduta accidentale è stata rovinosa. Fatale un trauma cranico provocato dal colpo del capo su una pietra. Inutili i soccorsi e il trasporto all’ospedale più vicino, in territorio marocchino.
Reduan MJ è membro dell’Associazione per i diritti umani dell’Andalusia che da anni si occupa del dramma delle mujeres porteadoras ma attivista anche con Digmun e Alarmphone. Racconta: “Sarebbe bastato mettere a disposizione di queste donne almeno un gabinetto pubblico e un lavandino e Fatima non sarebbe morta – Siamo indignati. Sono anni, specie gli ultimi due, da quando è stato inaugurato il varco di Tarajal II, che chiediamo a Spagna e Marocco di essere più umani, di migliorare le condizioni di lavoro e agevolare soprattutto le donne. Le donne vengono lasciate all’aperto, in tutte le condizioni meteo, con il rischio concreto di aggressioni, costrette a dormire sopra le merci in attesa di quel tique (il lasciapassare, ndr). È indegno che non ci siano acqua potabile e zone di ombra e di protezione dal freddo per quelle donne, a volte fino a duemila in coda per entrare a Ceuta”.
Dalla fine del 2017 ad oggi sono 9 le vittime tra le portatrici di merci, morte a causa di malori, traumi e patologie legate alle durissime condizioni di lavoro. Di queste, due sono morte il 15 gennaio 2018, anch’esse di Castillejos, rimaste sotto la calca durante una fuga provocata dai militari e morte schiacciate e soffocate. Domenica prossima, 29 settembre, in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale del migrante. Mai come in questa occasione il termine ‘Migrante economico’, spesso abusato ed utilizzato in maniera non corretta, ricalca la realtà. Donne marocchine che migrano ogni giorno in Spagna per tirare avanti, nonostante i diritti siano ridotti a zero.
Sul gradino più in alto di un’ipotetica scala di sfruttamento lavorativo troviamo invece altre donne, sempre marocchine, sfruttate, ma quanto meno non nelle stesse condizioni assurde delle portatrici. Sono le decine e decine di badanti e colf, assunte a Ceuta da famiglie spagnole per svolgere i lavori di casa. Quando le migrazioni servono, si passa sopra a tutto: “Ogni domenica sera io passo la frontiera per essere pronta, all’alba di lunedì, a prendere servizio nell’abitazione dei miei padroni – racconta Atifa, anch’essa residente con la famiglia a Castillejos, a cinque chilometri da Ceuta – Per sei giorni alla settimana sono impegnata nelle varie faccende domestiche, dalla spesa alle pulizie, inoltre cucino e seguo le persone anziane della casa. Lì dentro ci vivo in pianta stabile, ho una piccola stanza con un letto, poi il sabato sera, poco dopo le otto, torno verso casa per stare insieme alla mia famiglia la domenica. La paga è buona rispetto ad altre mansioni, circa 300 euro al mese, tutto a nero ovviamente. Ferie, malattia? No, se non lavoro non guadagno e se sto troppo via il lavoro lo perdo. Dietro di me ci sono tante donne in attesa di un posto da colf qui a Ceuta”.