Una delle affermazioni più in voga in Europa e negli Stati Uniti sul cambiamento climatico è che “il problema non siamo noi, sono la Cina e l’India“. I due Paesi starebbero ammorbando il mondo con la crescita impetuosa delle loro emissioni nocive dovute all’aumento della popolazione e dei consumi. Inutile quindi sbattersi troppo quando i problemi vengono generati altrove.
Questa lettura, molto in voga tra i politici di destra (ma non solo) di entrambe le sponde dell’Atlantico, contiene una verità e due omissioni gravi.
La verità è che negli ultimi anni Cina e India hanno visto impennare le proprie emissioni di CO2, al punto che la Cina emetteva nel 2017 quasi dieci miliardi di tonnellate di CO2 (contro poco più di cinque miliardi per gli Stati Uniti), rappresentando dunque il primo inquinatore al mondo. Mentre nel 1980 la Cina emetteva il 7,52% della CO2 emessa nel mondo e l’India l’1,6%, nel 2017 le quote rispettive delle emissioni mondiali erano cresciute al 27,21% e al 6,82% (con gli Stati Uniti al 14,58%). Una crescita gigantesca.
La prima omissione è che quando si parla di riscaldamento globale e di aumento delle emissioni di CO2, la misurazione non deve prendere in conto solo gli ultimi 40 anni. Deve partire da quando il carbone (seguito da petrolio e gas) ha cominciato a fare delle energie da fonte fossile il perno del sistema energetico mondiale.
Ebbene, se si prendono in considerazione le emissioni di CO2 da fonte fossile accumulate a partire dalle origini della rivoluzione industriale nel 1750, dunque dall’inizio dell’era geologica che viene sempre più definita come Antropocene, si nota che ancora nel 1980 gli Stati Uniti e la Gran Bretagna da soli del rappresentavano il 50% delle emissioni accumulate mondiali di CO2. Nel 2017 gli Stati Uniti erano ancora responsabili di oltre il 25% delle emissioni accumulate, contro il 12% della Cina e il 3% dell’India.
La seconda omissione riguarda il fatto che ha poco senso misurare le emissioni aggregate a livello nazionale, senza guardare ai consumi individuali e dunque alle emissioni di CO2 per abitante. Se lo si fa, si scopre che nel 2017 un cinese emetteva circa un terzo della CO2 emessa da uno statunitense, e un indiano meno di un terzo di un cittadino italiano.
Da quanto detto sopra se ne ricava che sono proprio i Paesi occidentali – quelli dell’Ocse per intenderci – quelli i cui cittadini hanno storicamente goduto di consumi e livelli di benessere più elevati e che hanno cospicue capacità tecnologiche e finanziarie da investire nella “transizione energetica“, quelli che dovrebbero fare un salto di qualità sulla strada della riduzione delle emissioni da utilizzo di combustibili fossili, accelerando un percorso già in atto e stando ben attenti a non farne ricadere i costi principalmente sugli strati più poveri della società.