La grande operazione di “greenwashing” cui si sta assistendo in questi giorni di mobilitazione di milioni di giovani che manifestano per salvare il pianeta dal cambiamento climatico e per vedersi riconosciuto il diritto al futuro è davvero epocale. Ma allo stesso tempo svela tutta l’ipocrisia di molti protagonisti della politica.

Nei consigli comunali, nei consigli regionali, nei parlamenti, si dichiara e si discute di emergenza climatica. Emergenza! Ma cosa succede di solito quando si dichiara un’emergenza? Se si afferma e si delibera che il pianeta è di fronte a un pericolo (certificato dalla stragrande maggioranza della comunità scientifica) che mette a rischio la vita di tutti, chi detiene le leve del comando cosa dovrebbe fare? Dovrebbe ordinare subito “indietro tutta!”, “stop!”, “alt!”, e agire immediatamente e senza indugio per rimediare e far rientrare l’emergenza.

Facciamo alcuni esempi. Se un sindaco riceve comunicazione che un fiume sta per esondare e travolgere gli abitanti del suo paese, mette subito in azione la protezione civile. Lo fa subito. Non dice “muoviamoci con calma”. Non rilascia comunicati in cui spiega nel dettaglio un lungo piano di intervento progressivo pieno di scuse per il suo mancato intervento tempestivo. Sarebbe un pazzo irresponsabile. Così come, in caso di incendio, tutti noi chiamiamo immediatamente i vigili del fuoco e cerchiamo l’estintore più vicino. Si pensa a trovare dell’acqua. Solo un’irresponsabile cercherebbe una tanica di benzina.

Ecco. Noi oggi, siamo di fronte proprio a quest’ultimo scenario. Viviamo in un mondo in fiamme, in cui è riconosciuto lo stato di pericolo, in cui tutti gli esperti affermano che occorre agire subito, ma questo stesso mondo è governato da irresponsabili che si aggirano nelle stanze dei bottoni con taniche di benzina gocciolanti.

E la cosa ancor più incredibile, e qui sta proprio il capolavoro di questo “greenwashing”, è che i governanti con le taniche di benzina in mano indossano ultimamente delle bellissime magliettine con alberelli e fiorellini all’ultima moda, con tanto di etichetta del prezzo che spunta dal colletto. E così abbigliati si presentano di fronte a tutti questi ragazzi entusiasti, ma determinati, in piazza. Magari intonando gli stessi slogan. Perché tutte quelle parole d’ordine così belle e musicali, e soprattutto tutti quei voti, fanno gola a molti. In particolare a chi magari governa da anni, ma sentendosi traballare la poltrona per motivi diversi intravede nell’operazione “siamo tutti con Greta” un modo per restare al timone.

Così, premier e segretari di partito convocano conferenze stampa per illustrare il “loro” piano green per ridurre le emissioni, per salvare il pianeta e accontentare i ragazzi, ma che però, attenzione, può essere solo progressivo, con obiettivi di lungo periodo. Perché “mica puoi fermare il mondo, lo sviluppo e l’economia”! Già.

E qui si svela la grande operazione ipocrita di spennellamento verde. Perché se dichiari l’emergenza planetaria e devi ridurre le emissioni e fermare il cambiamento climatico, devi essere conseguente. Certo occorrono grandi decisioni, piani complessi, strategie anche di lungo periodo (anche se abbiamo una dozzina d’anni di tempo). Lavorare alla messa in sicurezza futura degli argini del tuo fiume o prevenire nuovi incendi. Però, se non metti in campo subito quello che serve e ti limiti a distribuire borraccette in alluminio, mostri la tua inadeguatezza o la tua ipocrisia.

E quali sarebbero gli interventi da fare subito? Due esempi concreti di azioni immediate per contrastare veramente il cambiamento climatico e che riguardano proprio l’Italia:

1. Tagliare subito i 19 miliardi di euro di sussidi al settore delle fonti fossili. E’ infatti incomprensibile che nel momento in cui occorre contenere l’innalzamento della temperatura del pianeta entro 1,5 gradi centigradi, si spendano soldi pubblici per finanziare proprio il settore energetico che maggiormente contribuisce al fenomeno di cui tutti si dichiarano fieri avversari.

2. Approvare subito una legge che fermi il consumo di suolo. La cementificazione è una delle cause riconosciute dei cambiamenti climatici, perché riduce la biodiversità, perché impedisce il sequestro del carbonio, perché compromette i servizi ecosistemici, perché porta con sé inquinamento e “calore” (basti immaginare la differenza tra un bosco e un parcheggio assolato di un centro commerciale). A tal fine esiste già, depositata dal 21 gennaio 2018, una proposta di legge del forum Salviamo il Paesaggio.

Ma oltre a queste due azioni concrete per l’emergenza climatica, visto che tutti oggi si dichiarano ambientalisti a 360 gradi, fulminati dalla conversione ecologica cui ci invitava Alex Langer, sono moltissime le scelte possibili da compiere per dimostrarsi ecologisti veri.

Invece di farsi un selfie a New York mentre si mangia un vero hamburger americano, fermare gli allevamenti intensivi, fermare la deforestazione e il saccheggio delle risorse naturali e dei diritti delle persone che abitano nelle stesse foreste depredate.

Invece di aprire agli Ogm, aiutare i piccoli agricoltori, schiacciati dalle multinazionali e dalla grande distribuzione organizzata.

Invece di consentire lo spargimento sui suoli agricoli di fanghi contenenti diossine, idrocarburi, arsenico e metalli pesanti, avviare una reale bonifica delle centinaia di siti inquinati presenti ad ogni latitudine del nostro paese.

Invece di investire sulle grandi opere, soprattutto autostradali, sull’asfalto e sul cemento, che richiamano automobili e inquinamento, puntare sul traporto pubblico locale, sui servizi ai pendolari, sui tram, sulla mobilità leggera e dolce.

Invece di proseguire con le vecchie pratiche dei condoni edilizi e dell’abuso del territorio, che prima o poi presentano il conto doloroso in termini di vite umane spazzate via dalle piene dei fiumi e dagli smottamenti, curare davvero il territorio dalla piaga del dissesto idrogeologico.

Tutte ipotesi concrete e praticabili. Ma che obbligano a una vera scelta di campo. Dalla parte di questo modello di sviluppo morente che sta portando al collasso definitivo il pianeta, garantendo però belle rendite economiche a pochi fortunati e potenti? Oppure dalla parte del pianeta?

La vera svolta ecologista può consistere solo in una nuova visione, nella ricerca di un altro paradigma economico e sociale, nell’abbandono definitivo del mito della crescita, nel ribaltamento delle priorità per chi governa: vengono prima gli abitanti, tutti gli abitanti, del pianeta. E dopo, molto dopo, magari anche mai, le logiche del profitto e i dividendi delle corporation. E’ un’utopia? No, è l’unica via di uscita.

Pitturare di verde Amazzonia il catorcio arrugginito che va verso l’iceberg non impedirà la catastrofe. Ma permetterà solo qualche giro di valzer in più a chi non vuole o non può cedere il comando del Titanic.

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