L’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi è indagato dalla Procura di Milano per l’ipotesi di omessa comunicazione di conflitto di interessi. Ieri ha ricevuto un avviso di garanzia e la sua abitazione milanese è stata perquisita dalla Finanza. L’indagine – di cui ha dato notizia giovedì sera lo stesso gruppo petrolifero con un comunicato in cui “respinge le accuse” – coinvolge direttamente la moglie di Descalzi Maria Magdalena Ingoba. Nei mesi scorsi i pm di Milano, tramite una rogatoria, hanno ricostruito che la Ingoba, di origini congolesi, fino al 2014 controllava attraverso la lussemburgese Cardon Investments sa il gruppo Petro Service, costituito da cinque società in Congo, Gabon, Ghana e Mozambico. E queste società, spiega il Corriere della Sera, tra 2007 e 2018 hanno affittato navi e servizi logistici a Eni Congo per un controvalore di oltre 300 milioni – come già scritto da L’Espresso in un articolo uscito a marzo – senza che questo fosse comunicato al cda e agli azionisti della multinazionale quotata a Milano, di cui il Tesoro italiano ha il 30 per cento.
La società ceduta sei giorni prima della nomina di Descalzi – Nel dicembre 2018, quando il Corriere aveva per la prima volta scritto del possibile nesso tra lei e la società lussemburghese, la Ingoba aveva risposto: “Non ho mai sentito parlare della società “Cardon”, non ho mai avuto a che fare con questa società“. E il gruppo aveva depositato in procura un audit stando al quale i contratti erano stati regolari e c’era stato “sostanziale rispetto delle procedure di approvvigionamento“. Ora le rogatorie dei pm Fabio De Pasquale, Sergio Spadaro e Paolo Storari hanno ricostruito che le cinque società della galassia Petro Service facevano capo appunto alla lussemburghese Cardon Investments Sa che “almeno dall’aprile 2009 era controllata da due fiduciarie cipriote”: il 66% era della cipriota Cambiasi Holding Ltd, riconducibile alla moglie di Descalzi, il resto della Maggiore Ltd ricollegabile all’uomo d’affari britannico-monegasco Alexander Anthony Haly. L’8 aprile 2014 (sei giorni prima che l’allora premier Matteo Renzi indicasse Descalzi come ad di Eni) la Cardon fu interamente rilevata da Haly. Che è indagato insieme all’ex numero tre di Eni Roberto Casula e alla manager Maria Paduano, nel frattempo assunta dall’Eni, in una precedente inchiesta che ipotizza la corruzione internazionale di Eni in Congo. Fascicolo in cui secondo è coindagata anche la moglie di Descalzi. L’ipotesi investigativa è che Haly sia stato un suo prestanome e quindi abbia partecipato alle attività corruttive legate al rinnovo delle concessioni petrolifere.
Il filone di indagine per omessa comunicazione di conflitto di interessi è nato dalle perquisizioni fatte lo scorso anno via rogatoria a Monaco, dove ha sede Petro Services Ship Management, la società di intermediazione nel campo dei servizi di trasporto navali legati al lavoro sulle piattaforme petrolifere che fa capo a Haly. E’ stata raccolta una gran mole di documenti su cui i pm milanesi stanno ancora lavorando per accertare se vi siano vicende di appropriazioni di denaro ed eventuali retrocessioni. La Corte d’Appello del Principato lo scorso giugno ha dato invece parere negativo all’accesso ai conti.
Il numero uno: “Transazioni mai oggetto di mie valutazioni” – Il manager ieri ha reagito alla notizia della nuova indagine sostenendo che “le transazioni tra Eni Congo e il gruppo Petroservice non sono mai state oggetto di mie valutazioni o decisioni, in quanto totalmente estranee al mio ruolo“. E ha sottolineato che “se mi fossi trovato in una qualunque situazione di conflitto di interesse, o ne avessi avuto conoscenza, non avrei esitato a dichiararlo. Ho l’assoluta certezza di avere sempre operato correttamente, in modo lecito, nell’interesse di azienda e azionisti”.
Le tre versioni: da “nessun legame” a “forniture per 174 milioni di dollari” – Descalzi, dunque, non nega le transazioni del gruppo con le società legate alla moglie ma nega di essersene occupato. La linea dei vertici a questo proposito si è modificata nel tempo. Durante l’assemblea dei soci del 13 aprile 2017 la presidente dell’Eni Emma Marcegaglia, rispondendo a una domanda di Re: Common, affermò che “non esistono, in Congo, a oggi, legami contrattuali tra Eni e la società Petro Services“. Ma all’assemblea dell’anno dopo, maggio 2018, rettificò dicendo di essere stata “incompleta” a causa di una “affrettata lettura” e confermò che Eni aveva in effetti avuto rapporti commerciali con Petro Services per 104 milioni di dollari in cinque anni. Salto in avanti, assemblea del 14 maggio 2019: la risposta cambia ancora. “La Petroservice Congo e le altre società riconducibili al gruppo di appartenenza, coerentemente con quanto comunicato nella precedente assemblea con riferimento al periodo 2012-2018, hanno fornito servizi e prestazioni rispettivamente per circa 104 e 70 milioni di dollari. Il complessivo importo delle forniture ricevute ad esito delle aggiudicazioni conseguite ammonta quindi a 174 milioni di dollari“, si legge nel verbale. Ma “le più ampie verifiche svolte non hanno riscontrato condotte volte a favorire i fornitori aggiudicatari dei servizi in favore e/o a danno di Eni”.
La carriera di Descalzi tra Congo e Nigeria – Descalzi è numero uno del Cane a sei zampe dal 2014 e in precedenza, dal 2008, era Chief operating officer della divisione Exploration & Production. Dal 1994 è stato Managing Director della consociata Eni in Congo e dal 1998 vice presidente e managing director di Naoc, la consociata Eni in Nigeria. Dal 2000 al 2001 è stato direttore dell’area geografica Africa, Medio Oriente e Cina e dal 2002 al 2005 ha guidato l’area geografica Italia, Africa e Medio Oriente. E’ a processo per presunta corruzione internazionale in Nigeria.
AGGIORNAMENTO
Precisiamo che il Gip presso il Tribunale di Milano ha disposto l’archiviazione del procedimento nei confronti della signora Marie Magdalena Ingoba e di tutti gli altri indagati