Dovrei dire a mio figlio “no”. Non andare in piazza, la prima della tua vita. Perché quel rito richiede di sentirti un po’ contro il mondo, con la faccia rivolta a tutti, anche a tuo padre. Non è la stessa cosa protestare se papà ti dice: “Bravo, vai, urla!”.
Dovrei dirgli di no proprio perché voglio che vada in piazza. Che lo faccia anche per me, per rimediare a tutte le volte che non ci sono andato e dovevo.
Ricordo i tempi del mio liceo, quando si protestava anche contro l’invasione (allora era quella russa) dell’Afghanistan. Vero, qualcuno si interessava a Kabul perché temeva l’interrogazione di greco, ma era comunque un modo per guardare al mondo. Per spingersi fuori di sé.
Vai allora, Giovanni, e non sarà solo per l’ambiente. Perché protestare è sano e amen se imparerai a farlo anche contro di me. È il sale della democrazia e del confronto. Perfino la rabbia è fisiologica, stimola pensieri, inquietudine. Ormai ci siamo abituati a condannare la rabbia perché temiamo che degeneri in violenza. Quando invece spesso aiuta a scongiurarla. E dopo la rabbia rischiamo di temere anche il dissenso.
Vai, Giovanni. Perché anche questo è fare politica e interessarsi agli altri. Perché per manifestare le tue idee devi prima capire cosa pensi. Perché quando urli le tue opinioni d’improvviso senti la tua voce, ti trovi di fronte ai tuoi ideali. E devi avere il coraggio di sostenerli.
Vai e prenditi le piazze, le strade. La città diventa tua anche così. Se ti può aiutare, ti dico di non andare. Ma sono felice che tu sia lì.