L'”arma” di Matteo Salvini ha funzionato. La Lega ha infatti raggiunto il suo obiettivo, incassando otto sì da parte dei Consigli Regionali per proporre un referendum sulla legge elettorale: l’abrogazione della parte proporzionale del Rosatellum per passare a un sistema totalmente maggioritario. Gli ultimi via libera sono arrivati da Abruzzo, Liguria e Basilicata. Tre regioni che si sono aggiunte alle cinque che avevano già appoggiato la proposta nei giorni scorsi, Veneto, Sardegna, Lombardia, Friuli e Piemonte, e che rafforzano la posizione del Carroccio a cui bastava l’ok di cinque Consigli. Ora il quesito va depositato entro lunedì 30 settembre per far sì che il referendum si tenga nel 2020.
“Lunedì andremo a depositare il quesito referendario in Corte di Cassazione a Roma e in primavera i cittadini potranno esprimersi sulla legge elettorale. Ridiamo la parola al popolo!”, ha commentato il senatore leghista Roberto Calderoli, festeggiando il risultato. A lui ha subito fatto eco il leader Matteo Salvini: “Restituiamo a 60 milioni di Italiani il diritto di scegliere una legge elettorale decisa, moderna ed efficiente. Il principio è che chi prende un voto in più governa e quindi non ci saranno più inciuci – ha affermato – È un referendum sulla chiarezza. Questa volta ci sono otto regioni e vogliamo raccogliere tante firme. Chiameremo gli italiani nei comuni e nelle piazze. Sono due idee di Italia diversa quella del movimento e Pd con una legge elettorale che prevede cambi di governo, cambi di casacca e maggioranza e una legge elettorale chiara come quella delle Regioni dove chi prende un voto in più governa come governatore per cinque anni”.
Secondo il costituzionalista Salvatore Curreri, però, dell’Università Kore di Enna, spesso ascoltato in audizione in Parlamento sulle riforme, “difficilmente la Corte costituzionale lo dichiarerà ammissibile”. “Il quesito mi pare inammissibile – ha spiegato il docente all’Ansa – perché c’è il il problema dei collegi uninominali: se si abolisce la parte proporzionale, bisogna ridisegnarli, perché ci sarebbero un numero complessivo di collegi superiore agli attuali collegi uninominali. La Corte ha sempre detto che in materia elettorale la legge che esce dal referendum deve essere auto-applicativa, cosa che non è per questo referendum, perché lo scioglimento delle Camere può intervenire in qualsiasi momento, anche il giorno dopo del referendum”. Dello stesso parere il costituzionalista deputato del Pd, Stefano Ceccanti, che lo ha definito “ingegnoso” ma “inammissibile”.
Il percorso all’interno dei Consigli regionali non è stato semplice. In Abruzzo, dopo tre giorni di polemiche, minacce e esposti, da parte delle opposizioni, l’Assemblea regionale ha approvato, con 17 voti favorevoli, il quesito referendario ieri, poco prima della mezzanotte. La regione, per bocca del coordinatore regionale del Carroccio, il deputato Giuseppe Bellachioma, aveva puntato l’obiettivo di Regione apripista tra le cinque chiamate a votare, entro il 30 settembre, l’istanza referendaria. Ma alla fine è arrivata sesta. “Al di là del fatto che in cinque regioni si sia già votato, tuttavia arriviamo nello stesso giorno delle altre, quindi abbiamo dato il nostro contributo come prima regione della Lega del centrosud – ha spiegato Bellachioma dall’Aquila – Non ci sentiamo sconfitti, siamo una squadra ed abbiamo portato a casa il risultato. Anche nel Consiglio ligure, Pd, Rete a Sinistra e Movimento 5 stelle, hanno fatto sentire la loro voce, abbandonando l’aula durante la votazione, avvenuta dopo due giorni di discussione, il pomeriggio del 27 settembre. Alla fine sono stati 17 i sì e un astenuto. “Il referendum non è servo di nessuno. Chiunque voglia giustificare dietro a un proporzionalismo melassoso Governi legittimi ma lontani dalla volontà degli elettori, non fa il bene del Paese – ha commentato il governatore Giovanni Toti – Chiedere una legge elettorale maggioritaria dove i cittadini possono scegliere i rappresentanti e dove il Paese all’indomani dell’elezioni sceglie da chi essere governato, credo che non sia interesse di Salvini, ma un puro interesse del Paese”. L’ultimo via libera è arrivato, sempre nel pomeriggio, dalla Basilicata, regione in cui il quesito ha ricevuto 11 sì. Anche in questo caso alcuni consiglieri, attivisti del Movimento 5 stelle, hanno abbandonato l’aula dopo aver posto due questioni pregiudiziali sulla legittimità della convocazione del Consiglio regionale, la prima di ordine regolamentare la seconda di tipo costituzionale.