Cronaca

Rigopiano, la madre di una vittima prende a pugni un imputato per il disastro dell’hotel di Farindola: “Era al bar a bere allegramente”

L'ex sindaco di Farindola, Massimiliano Giancaterino, è stato raggiunto dalla madre di Stefano Feniello, 28 anni, deceduto sotto la valanga, durante una pausa dell'udienza preliminare: "Ero al bar con i miei avvocati. Mi ha picchiato, mi ha riempito di botte". La donna rivendica l'aggressione: "È stato lui a firmare la condanna a morte di mio figlio e allora l'ho preso a pugni"

Lo ha aggredito e poi ha rivendicato il suo gesto. Maria Perilli, la madre di Stefano Feniello, una delle del disastro di Rigopiano, ha preso a pugni Massimiliano Giancaterino, ex sindaco di Farindola imputato nell’udienza preliminare sulla tragedia dell’hotel nel quale morirono 29 persone a causa di una valanga. Tutto è avvenuto durante una pausa del procedimento, nel bar del tribunale di Pescara.

Giancaterino, imputato insieme ad altre 24 persone, è stato raggiunto alle spalle da Perilli mentre prendeva un caffè con i suoi avvocati. L’uomo è caduto a terra e a quel punto la madre di Feniello gli ha urlato: “Hai firmato la condanna a morte di mio figlio”. Le forze dell’ordine sono immediatamente intervenute, così come gli operatori del 118 che hanno assistito Giancaterino. “Stavo prendendo un caffè con i miei avvocati, quando sono stato aggredito – ha detto – Non so da chi, era una donna. Mi ha picchiato, mi ha riempito di botte. Segue querela”

Ma a rivendicare il gesto è stata la stessa Perilli: “Era al bar allegramente, quando è stato lui a firmare la condanna a morte di mio figlio e allora l’ho preso a pugni”, ha detto la donna dopo essere stata identificata dalla polizia. “Lui è il doppio di me – ha aggiunto – quindi potete immaginare il male che gli ho fatto…”. Perilli ha quindi concluso: “È stato lui a firmare i primi documenti per l’ampliamento dell’albergo e ha dato la possibilità all’hotel, da quel momento, di essere aperto anche durante l’inverno, non solo d’estate, quindi ha condannato a morte Stefano”.

Nei giorni successivi al crollo della struttura, durante le operazioni di ricerca, Feniello, 28 anni, venne dato tra i sopravvissuti in attesa di essere estratto dalle macerie dell’hotel Rigopiano. Ma la comunicazione dell’ex prefetto di Pescara Francesco Provolo si rivelò errata, perché il ragazzo – che si trovava a Farindola insieme alla fidanzata, scampata al disastro – era in realtà deceduto. Il padre, Alberto Feniello, è finito a processo per aver portato dei fiori sul luogo del disastro, violando così i sigilli dell’area sotto sequestro. All’uomo era stata comminata una multa di 4550 euro ma si è rifiutato di pagarla, quindi ora dovrà affrontare il procedimento, che è iniziato giovedì.

L’aggressione ha provocato il rinvio dell’udienza a causa del legittimo impedimento dell’imputato: il suo legale, Vincenzo Di Girolamo, ha chiesto e ottenuto il rinvio dopo che Giampietro è stato “trasportato in ospedale – ha detto l’avvocato, che ha prodotto un referto del 118 – dove gli sono stati diagnosticati un trauma cranico, un trauma all’arto superiore sinistro e dolore al torace”. Le altre difese si sono associate e il procuratore capo Massimiliano Serpi non si è opposto, dunque il gup Gianluca Sarandrea ha rinviato l’udienza al prossimo 25 ottobre.

Condanna per quanto accaduto è arrivata dal Comitato delle vittime: “Il nostro Comitato ricerca la giustizia nelle aule di tribunale e non fuori. Teniamo a precisare che nessun membro del Comitato ha posto in essere l’aggressione”, ha detto l’avvocato Niccolò Baldassare. “La disperazione – ha aggiunto – è comune a tutti i familiari delle vittime, ma non ci può essere giustificazione per questi gesti. Cosi non si fa altro che ritardare quello che vogliono tutti ossia l’accertamento della verità e la giustizia”.

Sul caso è intervenuto anche il procuratore Serpi: “Prendo atto di quanto accaduto e vorrei richiamare tutti i presenti, rivolgendomi soprattutto al pubblico, sulla consapevolezza che ovviamente nessuno può aggredire nessuno, ed è la legge che lo vieta”. In un processo “delicato e complicato”, ha detto ancora, “deve esserci anche la consapevolezza che è indispensabile un clima di serenità perché le procedure possano proseguire nei tempi previsti dalle legge e anche nei tempi più celeri possibili”. “Ciò non vuol dire, per quanto riguarda il pubblico ministero, che non ci debba essere la dovuta fermezza nella propria posizione di ricerca della verità – ha concluso – Questo episodio rende evidente come l’inevitabile rinvio non aiuta a giungere il prima possibile agii accertamenti giudiziari che tutti auspichiamo”. Il gup, subito dopo, ha aggiunto: “Faccio mie queste parole, questo è un processo complicato e creare situazioni di tensione non aiuta nessuno”.