Alle nove di mattina Piazza della Repubblica, luogo di inizio dello sciopero dei ragazzi romani, era già gremita all’inverosimile. Una folla di ragazzini e ragazzi, pochi gli adulti, arrivati a gruppetti quasi tutti con i mezzi pubblici. Alcuni giustificati dalla scuola, altri no: dai racconti si capisce che la circolare del ministro Fioramonti è stata recepita a macchia di leopardo; ma non importa, loro sono lì. Il fiume di studenti percorre via Cavour per arrivare a piazza Venezia. Il clima è allegro, gruppi di ragazzini saltano al grido di “Siamo più felici, prendiamo la bici”, ma anche “Più benzina, la fine si avvicina”. Nei cartelli si scatena l’ilarità, declinata in romanesco: “Vacce te su Marte”, “Daje Greta”, “Ahò, ma lo volemo salvà ‘sto pianeta?”, “Sta a schiumà”, “Stò a fa la colla”, “Sciopero dei taxi, annamo a fette”.
Altri giocano con ironia sul sesso: “I want a hot boyfriend not a hot planet”, ma anche “Più sesso orale meno riscaldamento globale” , “Fuck me, not the planet”. A intervistarli, in realtà, si scopre che sono spaventati, anche se spesso non sanno dire esattamente di cosa o quali siano le conseguenze del riscaldamento globale che più temono. Avvertono una minaccia vicina, e insieme, quasi tutti, sono angosciati dal fatto che del tema si parli poco e che gli adulti non lo considerino nella sua urgenza. Difendono Greta da ogni critica con parole semplici – “Ha detto cose ovvie, sensate, come si fa a criticarla?” e di politica non sanno, né voglio sapere, quasi nulla. Qui, almeno a Roma, in piazza c’è la sensazione che il problema del riscaldamento globale sia enorme ma che serva ancora urlare per cambiare la testa dei legislatori. Eppure il cambiamento è già qui e ora: fine settembre, trenta gradi, stare al sole è temerario. Ma come dice una giovane ragazza: “Io non posso votare, posso solo sfilare”.