Fino a ieri qualche difesa d’ufficio di parlamentari di Forza Italia, a cui si è abituati. Il primo leader politico a commentare l’indagine su Silvio Berlusconi in relazioni alle stragi di mafia e all’attentato a Maurizio Costanzo è il capo di Italia Viva, Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio, ex segretario del Pd ed ex guida del centrosinistra. In un post su facebook Renzi premette di rispettare i magistrati ed aspettare le sentenze definitive. Ma subito dopo si dice “attonito” per l’inchiesta e decide lui che la tesi non ha “uno straccio di prova“. Dimenticando, tra le altre cose, che il braccio destro di Berlusconi per decine di anni, fondatore di Forza Italia e più volte parlamentare di quel partito, Marcello Dell’Utri, sta finendo di scontare una pena di 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa proprio perché – secondo le motivazioni dei giudici di tutti i gradi di giudizio – il senatore era “mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”. In particolare, dal 1974 al 1992, ancora secondo la Cassazione, Dell’Utri, come uomo di fiducia dell’allora imprenditore televisivo, fu “ininterrottamente” il tramite dei pagamenti con i quali il suo “principale” si garantiva la sicurezza, dei suoi familiari e delle sue aziende, con un “patto di protezione” siglato proprio 40 anni prima con gli uomini di Cosa Nostra palermitana. Dell’Utri – anche questo è di dominio pubblico – è stato condannato in primo grado anche nel processo sulla trattativa Stato-mafia a 12 anni di carcere.
Ma per Renzi – il cui zio Nicola ha lavorato con Mondadori e Fininvest tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta – questo non è sufficiente, almeno per osservare il silenzio in attesa che l’indagine della Procura di Firenze si concluda. “Vedere che qualche magistrato della procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito” scrive in particolare l’ex capo del governo. E coincidenza – o forse no – vuole che “qualche magistrato” sia proprio lo stesso pool che sta coordinando le indagini sulla Fondazione Open (il procuratore capo Giuseppe Creazzo e il suo aggiunto Luca Turco). Nell’inchiesta su Open – è cronaca dell’ultima settimana – il principale indagato è Alberto Bianchi, legale di 65 anni, uno degli uomini più vicini a Renzi. Open è stato il motore principale della Leopolda, oltre che finanziatore dell’annuale convention renziana. Dal 2012 alla chiusura dell’aprile 2018 si calcola che abbia raccolto oltre 6 milioni e mezzo di euro.
La presa di posizione di Renzi è stata la prima al livello dei leader di partito. Poco dopo si è ritrovato unito con Giorgia Meloni che da parte sua ha parlato di “accanimento giudiziario” e Matteo Salvini che con altre parole ha evocato gli stessi concetti di Renzi.
Quello di Renzi, d’altra parte, sembra più di un occhiolino all’elettorato di Forza Italia che ormai da settimane sembra in fuga. Anzi, parte di quella base azzurra che vede il proprio partito in declino quasi verticale ha già scelto la possibile alternativa, Italia Viva appunto, come ha già misurato qualche sondaggio. Così Renzi rispolvera espressioni che sembrano superate: “A differenza di quanto scrivono taluni giornali – sottolinea Renzi – non ho mai governato con Berlusconi e mai Forza Italia ha votato la fiducia al mio governo (a tutti gli altri si, a me no): dunque posso parlare libero, da avversario politico. Berlusconi va criticato e contrastato sul piano della politica. Ma sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Maurizio Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità delle Istituzioni italiane. Di tutte le Istituzioni”. Un passaggio che ricorda un po’ quando Berlusconi sosteneva che le fiction sulla mafia, come la Piovra, avevano l’effetto di “non far fare una bella figura” all’Italia.
Lo “straccio di prova” che Renzi decide che certamente non c’è (dopo aver premesso di rispettare i magistrati e aspettare le sentenze) in realtà è proprio l’oggetto del lavoro dell’inchiesta aperta due anni fa dalla Procura di Firenze. Si aprono le inchieste per obbligatorietà dell’azione penale e poi si cercano le prove per capire se il motivo dell’apertura dell’indagine ha da essere: lo prevedono il codice di procedura penale e la Costituzione all’articolo 112. Nel caso di Berlusconi e la mafia, in particolare, la procura fiorentina che è titolare dell’inchiesta sulle stragi del 1992 e 1993 e che già altre due volte aveva aperto un’inchiesta su Berlusconi (l’ultima archiviata nel 2011) nel 2017 aveva ottenuto la riapertura del fascicolo dopo aver ricevuto da Palermo le intercettazioni del colloqui in carcere del boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
Il boss di Brancaccio (arrestato a Milano nel gennaio del 1994 dopo la stagione delle stragi insieme a un suo favoreggiatore che stava portando il figlio di 11 anni a fare il provino al Milan) in una conversazione in carcere all’inizio del 2016 disse: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia: per questo c’è stata l’urgenza. Lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa“: per i pm della Procura di Palermo che hanno condotto l’inchiesta sulla Trattativa allude all’intenzione di Berlusconi di entrare in politica già nel 1992. Una frase che sempre per gli investigatori interpretano come la necessità di un gesto forte in grado di sovvertire l’ordine del Paese.
Alcuni anni prima il pentito Gaspare Spatuzza aveva raccontato di aver incontrato il suo capomafia (Graviano) a Roma il 21 gennaio 1994. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia. Quindi mi spiega che grazie a queste persone di fiducia che avevano portato a buon fine questa situazione, che non erano come quei quattro crasti dei socialisti”.
Intercettato in carcere nel 2016 Graviano oggi prova sentimenti di vendetta nei confronti dell’ex cavaliere. “Berlusconi – dice in altre conversazioni captate in cella – quando ha iniziato negli anni Settanta ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel 1994 si è ubriacato e ha detto: non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore“. Un concetto – quello del tradimento – sul quale Graviano torna più volte. “Venticinque anni mi sono seduto con te, giusto? – dice in un altro passaggio delle intercettazioni – Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo, perché sa il mio carattere. Perché tu lo sai che io mi sto facendo, mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta e senza soldi: alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, i giorni passano, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera“. Quindi il mafioso stragista continua: “Al signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia. Pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste“.
Politica
Stragi di mafia, a Renzi non piace che si cerchi la verità. “Berlusconi indagato? Attonito, qualche pm fa pessimo servizio a istituzioni”
Il leader di Italia Viva contro i magistrati di Firenze che conducono le inchieste sui mandanti della stagione stragista che sono gli stessi che indagano su Fondazione Open. E poi: "Non c'è uno straccio di prova". Ma dimentica che il fascicolo è stato aperto dopo le intercettazioni di Graviano e la condanna definitiva a Dell'Utri, braccio destro storico del capo di Forza Italia, proprio come "tramite con Cosa Nostra"
Fino a ieri qualche difesa d’ufficio di parlamentari di Forza Italia, a cui si è abituati. Il primo leader politico a commentare l’indagine su Silvio Berlusconi in relazioni alle stragi di mafia e all’attentato a Maurizio Costanzo è il capo di Italia Viva, Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio, ex segretario del Pd ed ex guida del centrosinistra. In un post su facebook Renzi premette di rispettare i magistrati ed aspettare le sentenze definitive. Ma subito dopo si dice “attonito” per l’inchiesta e decide lui che la tesi non ha “uno straccio di prova“. Dimenticando, tra le altre cose, che il braccio destro di Berlusconi per decine di anni, fondatore di Forza Italia e più volte parlamentare di quel partito, Marcello Dell’Utri, sta finendo di scontare una pena di 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa proprio perché – secondo le motivazioni dei giudici di tutti i gradi di giudizio – il senatore era “mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”. In particolare, dal 1974 al 1992, ancora secondo la Cassazione, Dell’Utri, come uomo di fiducia dell’allora imprenditore televisivo, fu “ininterrottamente” il tramite dei pagamenti con i quali il suo “principale” si garantiva la sicurezza, dei suoi familiari e delle sue aziende, con un “patto di protezione” siglato proprio 40 anni prima con gli uomini di Cosa Nostra palermitana. Dell’Utri – anche questo è di dominio pubblico – è stato condannato in primo grado anche nel processo sulla trattativa Stato-mafia a 12 anni di carcere.
Ma per Renzi – il cui zio Nicola ha lavorato con Mondadori e Fininvest tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta – questo non è sufficiente, almeno per osservare il silenzio in attesa che l’indagine della Procura di Firenze si concluda. “Vedere che qualche magistrato della procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito” scrive in particolare l’ex capo del governo. E coincidenza – o forse no – vuole che “qualche magistrato” sia proprio lo stesso pool che sta coordinando le indagini sulla Fondazione Open (il procuratore capo Giuseppe Creazzo e il suo aggiunto Luca Turco). Nell’inchiesta su Open – è cronaca dell’ultima settimana – il principale indagato è Alberto Bianchi, legale di 65 anni, uno degli uomini più vicini a Renzi. Open è stato il motore principale della Leopolda, oltre che finanziatore dell’annuale convention renziana. Dal 2012 alla chiusura dell’aprile 2018 si calcola che abbia raccolto oltre 6 milioni e mezzo di euro.
La presa di posizione di Renzi è stata la prima al livello dei leader di partito. Poco dopo si è ritrovato unito con Giorgia Meloni che da parte sua ha parlato di “accanimento giudiziario” e Matteo Salvini che con altre parole ha evocato gli stessi concetti di Renzi.
Quello di Renzi, d’altra parte, sembra più di un occhiolino all’elettorato di Forza Italia che ormai da settimane sembra in fuga. Anzi, parte di quella base azzurra che vede il proprio partito in declino quasi verticale ha già scelto la possibile alternativa, Italia Viva appunto, come ha già misurato qualche sondaggio. Così Renzi rispolvera espressioni che sembrano superate: “A differenza di quanto scrivono taluni giornali – sottolinea Renzi – non ho mai governato con Berlusconi e mai Forza Italia ha votato la fiducia al mio governo (a tutti gli altri si, a me no): dunque posso parlare libero, da avversario politico. Berlusconi va criticato e contrastato sul piano della politica. Ma sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Maurizio Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità delle Istituzioni italiane. Di tutte le Istituzioni”. Un passaggio che ricorda un po’ quando Berlusconi sosteneva che le fiction sulla mafia, come la Piovra, avevano l’effetto di “non far fare una bella figura” all’Italia.
Lo “straccio di prova” che Renzi decide che certamente non c’è (dopo aver premesso di rispettare i magistrati e aspettare le sentenze) in realtà è proprio l’oggetto del lavoro dell’inchiesta aperta due anni fa dalla Procura di Firenze. Si aprono le inchieste per obbligatorietà dell’azione penale e poi si cercano le prove per capire se il motivo dell’apertura dell’indagine ha da essere: lo prevedono il codice di procedura penale e la Costituzione all’articolo 112. Nel caso di Berlusconi e la mafia, in particolare, la procura fiorentina che è titolare dell’inchiesta sulle stragi del 1992 e 1993 e che già altre due volte aveva aperto un’inchiesta su Berlusconi (l’ultima archiviata nel 2011) nel 2017 aveva ottenuto la riapertura del fascicolo dopo aver ricevuto da Palermo le intercettazioni del colloqui in carcere del boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
Il boss di Brancaccio (arrestato a Milano nel gennaio del 1994 dopo la stagione delle stragi insieme a un suo favoreggiatore che stava portando il figlio di 11 anni a fare il provino al Milan) in una conversazione in carcere all’inizio del 2016 disse: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia: per questo c’è stata l’urgenza. Lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa“: per i pm della Procura di Palermo che hanno condotto l’inchiesta sulla Trattativa allude all’intenzione di Berlusconi di entrare in politica già nel 1992. Una frase che sempre per gli investigatori interpretano come la necessità di un gesto forte in grado di sovvertire l’ordine del Paese.
Alcuni anni prima il pentito Gaspare Spatuzza aveva raccontato di aver incontrato il suo capomafia (Graviano) a Roma il 21 gennaio 1994. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia. Quindi mi spiega che grazie a queste persone di fiducia che avevano portato a buon fine questa situazione, che non erano come quei quattro crasti dei socialisti”.
Intercettato in carcere nel 2016 Graviano oggi prova sentimenti di vendetta nei confronti dell’ex cavaliere. “Berlusconi – dice in altre conversazioni captate in cella – quando ha iniziato negli anni Settanta ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel 1994 si è ubriacato e ha detto: non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore“. Un concetto – quello del tradimento – sul quale Graviano torna più volte. “Venticinque anni mi sono seduto con te, giusto? – dice in un altro passaggio delle intercettazioni – Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo, perché sa il mio carattere. Perché tu lo sai che io mi sto facendo, mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta e senza soldi: alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, i giorni passano, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera“. Quindi il mafioso stragista continua: “Al signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia. Pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste“.
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Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - I leader arabi concordano di istituire un fondo fiduciario per finanziare la ricostruzione della Striscia di Gaza, devastata dalla guerra, sollecitando il contributo internazionale per accelerare il processo di ricostruzione. Secondo il comunicato finale del vertice della Lega araba al Cairo, visionato dall'Afp, il fondo "riceverà impegni finanziari da tutti i paesi donatori e dalle istituzioni finanziarie" per realizzare progetti di ricostruzione nel territorio.
Tel Aviv, 4 mar. (Adnkronos) - Il Ministero degli Esteri israeliano afferma che la dichiarazione del vertice arabo tenutosi al Cairo per discutere della ricostruzione di Gaza non ha affrontato la realtà della situazione successiva al massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023. "È degno di nota che il feroce attacco terroristico di Hamas non venga menzionato e che non vi sia nemmeno una condanna di questa entità terroristica omicida, nonostante le atrocità documentate", afferma la dichiarazione.
il ministero elogia invece il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump di trasferire i cittadini di Gaza, sostenendo — nonostante Trump parli di trasferire tutta la popolazione della Striscia — che in base a questo, "c'è un'opportunità per i cittadini di Gaza di scegliere liberamente. Questo deve essere incoraggiato".
Sana'a, 4 mar. (Adnkronos) - Gli Houthi hanno abbattuto un drone statunitense nei cieli della città portuale di Hodeidah nello Yemen. Lo ha dichiarato portavoce del gruppo, Yahya Saree, in un post su Telegram.
Washington, 4 mar. (Adnkronos) - Secondo due fonti informate sui colloqui, gli Stati Uniti e l'Ucraina potrebbero firmare l'accordo sui minerali già oggi. Lo rende noto Abc News, secondo cui Trump ha indicato ai suoi principali consiglieri che vorrebbe concludere l'accordo prima del suo discorso congiunto al Congresso.
Il Cairo, 4 mar. (Adnkronos) - Il vertice arabo convocato al Cairo ha adottato un piano egiziano per la ricostruzione di Gaza. Lo ha affermato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi in una dichiarazione conclusiva. Il piano mira a contrastare le proposte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per una "Riviera mediorientale" con un piano per ricostruire la Striscia devastata senza sfollare la sua popolazione.
Parigi, 4 mar. (Adnkronos/Afp) - Il presidente francese Emmanuel Macron ha accolto con favore la volontà del suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky “di riprendere il dialogo con gli Stati Uniti d'America”, secondo quanto riferito dall'Eliseo.
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Roma, 4 mar. (Adnkronos) - Elly Schlein è netta sul piano lanciato oggi da Ursula Von der Leyen. "Noi non ci stiamo", la posizione della segretaria del Pd. Una linea che, pur con sfumature diverse, trova d'accordo anche l'area riformista dem. Servono "modifiche", dice Lorenzo Guerini. In particolare, a mettere tutti d'accordo è la bocciatura della proposta della presidente della Commissione Ue sulla possibilità di dirottare i fondi di Coesione sulle spese per la difesa. E non solo. Anche la deroga al patto di Stabilità da parte dei singoli Stati, fuori da regia e investimenti comuni sulla difesa, è giudicata un errore trasversalmente tra i dem.
Schlein ha già annunciato che porterà la posizione del Pd alla riunione dei Socialisti e Democratici giovedì mattina a Bruxelles, il pre-vertice che precede il Consiglio europeo straordinario. In vista dell'appuntamento Schlein oggi ha sentito il premier spagnolo Pedro Sanchez. "Una lunga conversazione sullo scenario internazionale e la complicata situazione mondiale", fanno sapere fonti dem. Quella del Pd è la delegazione più numerosa nella famiglia socialista europea. Senza l'ok dei socialisti il piano Von der Leyen traballa. "È il momento delle scelte e della chiarezza. Abbiamo bisogno di una risposta all'altezza della sfida globale - strategica, economica, politica - al ruolo dell'Europa nel mondo. E questa risposta non è quella presentata oggi", rimarca Schlein.
Negli equilibri interni al Pd, la sollecitazione dei riformisti è quella di lavorare per modificare il piano Von der Leyen, "aiutare ad andare nella direzione giusta" ed evitare che ci si arrocchi in un "no a tutti i costi". L'importante, si spiega, "è non mettere in discussione la necessità dell'aumento di risorse per la difesa europea". Per Guerini si tratta di un'esigenza "ineludibile". Quindi la sollecitazione del presidente del Copasir: "Ora bisogna mettersi al lavoro, innanzitutto all’interno del Pse, per confermare in maniera convinta il nostro impegno per maggiori investimenti e capacità militari europee provando a dare un indirizzo più coerente agli strumenti per farlo".
Per Schlein "quella presentata oggi da Von Der Leyen non è la strada che serve all’Europa. All’Unione europea serve la difesa comune, non il riarmo nazionale. Sono due cose molto diverse". Anche il titolo 'Rearm' ha fatto sobbalzare più di uno e anche la segretaria lo mette in evidenza. "Il piano Von Der Leyen, a partire dal titolo, punta sul riarmo e non emerge un indirizzo politico chiaro verso la difesa comune".
Quindi elenca i nodi: "Indica una serie di strumenti che agevolerebbero la spesa nazionale ma senza porre condizioni sui progetti comuni, sull’interoperabilità dei sistemi. Ci sono molti aspetti da chiarire, ad esempio su come funzionerebbe il nuovo meccanismo in stile Sure, per capire se finanzia progetti comuni o spesa nazionale. Ma questa -avverte- non è la strada giusta. Manca ancora la volontà politica dei governi di fare davvero una difesa comune e in questo piano della Commissione mancano gli investimenti europei finanziati dal debito comune, come durante la pandemia. Così rischia di diventare il mero riarmo nazionale di 27 paesi e noi non ci stiamo".
"Noi -insiste- abbiamo un’idea precisa. Quello che serve oggi è un grande piano di investimenti comuni per l’autonomia strategica dell’Ue, che è insieme cooperazione industriale, coesione sociale, transizione ambientale e digitale, sicurezza energetica e anche difesa comune. Anche, ma non solo! Magari cancellando le altre cruciali priorità su cui i governi sono più divisi. È irrinunciabile contrastare le diseguaglianze che sono aumentate. Per questo è inaccettabile utilizzare i fondi di coesione per finanziare le spese militari nazionali".
Punti critici che vengono rilevati anche dai riformisti. Per Guerini "la proposta Von der Leyen definisce giustamente l’obiettivo in termini di risorse", ma "così come è stata prospettata necessita di essere modificata: è sbagliato l’utilizzo dei fondi di coesione e c’è poco coraggio a sostenere un vero salto in senso europeo delle spese per la difesa". Avverte Alessandro Alfieri: gli strumenti "che mettiamo in campo devono portare ad una maggiore integrazione delle principali aziende della difesa europea. In questo senso, se non vengono messe condizionalità alle deroghe al patto di stabilità, l’aumento dei bilanci dei singoli Paesi verrà speso prevalentemente su mercati extra Ue, da cui oggi dipendiamo per l’80%. Aumentando la dipendenza strategica dagli Usa anziché diminuirla".
Per il coordinatore della minoranza dem, il Pd non dovrà far "mancare il proprio contributo in tutte le sedi così come spiegheremo che serve una narrazione diversa che convinca le opinioni pubbliche europee a sostenere la sfida ineludibile della costruzione della difesa europea. Magari chiamando questa sfida Protect Europe invece di Rearm. Perché anche il linguaggio ha la sua importanza...”.
Interviene anche Giorgio Gori a sollevare criticità: sarebbe "un errore - ritengo, da parte della Commissione Europea - autorizzare maggiori spese per la difesa dei singoli Stati membri, in deroga al patto di stabilità, fuori da una comune regia. Ciò finirebbe per approfondire la frammentazione, senza apprezzabili benefici per la sicurezza comune. La deroga dal patto dovrebbe invece essere autorizzata solo per gli investimenti comuni: così si porrebbero le condizioni per l'avvio di un vero sistema di difesa europeo". E poi "ugualmente discutibile appare poi la contrapposizione tra spesa per la difesa e spesa sociale, suggerita dalla facoltà per gli Stati membri di attingere ai fondi per la coesione". Intanto questa mattina la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno ha lanciato un appello via social per un'Europa 'Libera e forte' in 5 punti, difesa comune compresa. Oltre duemila, finora, le adesioni.