Fino a ieri qualche difesa d’ufficio di parlamentari di Forza Italia, a cui si è abituati. Il primo leader politico a commentare l’indagine su Silvio Berlusconi in relazioni alle stragi di mafia e all’attentato a Maurizio Costanzo è il capo di Italia Viva, Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio, ex segretario del Pd ed ex guida del centrosinistra. In un post su facebook Renzi premette di rispettare i magistrati ed aspettare le sentenze definitive. Ma subito dopo si dice “attonito” per l’inchiesta e decide lui che la tesi non ha “uno straccio di prova“. Dimenticando, tra le altre cose, che il braccio destro di Berlusconi per decine di anni, fondatore di Forza Italia e più volte parlamentare di quel partito, Marcello Dell’Utri, sta finendo di scontare una pena di 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa proprio perché – secondo le motivazioni dei giudici di tutti i gradi di giudizio – il senatore era “mediatore del patto tra Berlusconi e Cosa nostra”. In particolare, dal 1974 al 1992, ancora secondo la Cassazione, Dell’Utri, come uomo di fiducia dell’allora imprenditore televisivo, fu “ininterrottamente” il tramite dei pagamenti con i quali il suo “principale” si garantiva la sicurezza, dei suoi familiari e delle sue aziende, con un “patto di protezione” siglato proprio 40 anni prima con gli uomini di Cosa Nostra palermitana. Dell’Utri – anche questo è di dominio pubblico – è stato condannato in primo grado anche nel processo sulla trattativa Stato-mafia a 12 anni di carcere.
Ma per Renzi – il cui zio Nicola ha lavorato con Mondadori e Fininvest tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta – questo non è sufficiente, almeno per osservare il silenzio in attesa che l’indagine della Procura di Firenze si concluda. “Vedere che qualche magistrato della procura della mia città da anni indaghi sull’ipotesi che Berlusconi sia responsabile persino delle stragi mafiose o dell’attentato a Maurizio Costanzo mi lascia attonito” scrive in particolare l’ex capo del governo. E coincidenza – o forse no – vuole che “qualche magistrato” sia proprio lo stesso pool che sta coordinando le indagini sulla Fondazione Open (il procuratore capo Giuseppe Creazzo e il suo aggiunto Luca Turco). Nell’inchiesta su Open – è cronaca dell’ultima settimana – il principale indagato è Alberto Bianchi, legale di 65 anni, uno degli uomini più vicini a Renzi. Open è stato il motore principale della Leopolda, oltre che finanziatore dell’annuale convention renziana. Dal 2012 alla chiusura dell’aprile 2018 si calcola che abbia raccolto oltre 6 milioni e mezzo di euro.
La presa di posizione di Renzi è stata la prima al livello dei leader di partito. Poco dopo si è ritrovato unito con Giorgia Meloni che da parte sua ha parlato di “accanimento giudiziario” e Matteo Salvini che con altre parole ha evocato gli stessi concetti di Renzi.
Quello di Renzi, d’altra parte, sembra più di un occhiolino all’elettorato di Forza Italia che ormai da settimane sembra in fuga. Anzi, parte di quella base azzurra che vede il proprio partito in declino quasi verticale ha già scelto la possibile alternativa, Italia Viva appunto, come ha già misurato qualche sondaggio. Così Renzi rispolvera espressioni che sembrano superate: “A differenza di quanto scrivono taluni giornali – sottolinea Renzi – non ho mai governato con Berlusconi e mai Forza Italia ha votato la fiducia al mio governo (a tutti gli altri si, a me no): dunque posso parlare libero, da avversario politico. Berlusconi va criticato e contrastato sul piano della politica. Ma sostenere 25 anni dopo, senza uno straccio di prova, che egli sia il mandante dell’attentato mafioso contro Maurizio Costanzo significa fare un pessimo servizio alla credibilità delle Istituzioni italiane. Di tutte le Istituzioni”. Un passaggio che ricorda un po’ quando Berlusconi sosteneva che le fiction sulla mafia, come la Piovra, avevano l’effetto di “non far fare una bella figura” all’Italia.
Lo “straccio di prova” che Renzi decide che certamente non c’è (dopo aver premesso di rispettare i magistrati e aspettare le sentenze) in realtà è proprio l’oggetto del lavoro dell’inchiesta aperta due anni fa dalla Procura di Firenze. Si aprono le inchieste per obbligatorietà dell’azione penale e poi si cercano le prove per capire se il motivo dell’apertura dell’indagine ha da essere: lo prevedono il codice di procedura penale e la Costituzione all’articolo 112. Nel caso di Berlusconi e la mafia, in particolare, la procura fiorentina che è titolare dell’inchiesta sulle stragi del 1992 e 1993 e che già altre due volte aveva aperto un’inchiesta su Berlusconi (l’ultima archiviata nel 2011) nel 2017 aveva ottenuto la riapertura del fascicolo dopo aver ricevuto da Palermo le intercettazioni del colloqui in carcere del boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
Il boss di Brancaccio (arrestato a Milano nel gennaio del 1994 dopo la stagione delle stragi insieme a un suo favoreggiatore che stava portando il figlio di 11 anni a fare il provino al Milan) in una conversazione in carcere all’inizio del 2016 disse: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia: per questo c’è stata l’urgenza. Lui voleva scendere… però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa“: per i pm della Procura di Palermo che hanno condotto l’inchiesta sulla Trattativa allude all’intenzione di Berlusconi di entrare in politica già nel 1992. Una frase che sempre per gli investigatori interpretano come la necessità di un gesto forte in grado di sovvertire l’ordine del Paese.
Alcuni anni prima il pentito Gaspare Spatuzza aveva raccontato di aver incontrato il suo capomafia (Graviano) a Roma il 21 gennaio 1994. “Incontrai Giuseppe Graviano all’interno del bar Doney in via Veneto, a Roma. Graviano era molto felice, come se avesse vinto al Superenalotto, una Lotteria. Poi mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di Canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l’Italia. Quindi mi spiega che grazie a queste persone di fiducia che avevano portato a buon fine questa situazione, che non erano come quei quattro crasti dei socialisti”.
Intercettato in carcere nel 2016 Graviano oggi prova sentimenti di vendetta nei confronti dell’ex cavaliere. “Berlusconi – dice in altre conversazioni captate in cella – quando ha iniziato negli anni Settanta ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel 1994 si è ubriacato e ha detto: non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore“. Un concetto – quello del tradimento – sul quale Graviano torna più volte. “Venticinque anni mi sono seduto con te, giusto? – dice in un altro passaggio delle intercettazioni – Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché tu ti rimangono i soldi. Dice: non lo faccio uscire più, perché sa che io non parlo, perché sa il mio carattere. Perché tu lo sai che io mi sto facendo, mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta e senza soldi: alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso perché ho 54 anni, i giorni passano, gli anni passano, io sto invecchiando e tu mi stai facendo morire in galera“. Quindi il mafioso stragista continua: “Al signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia. Pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste“.