Quando era già finito tutto da un pezzo gli chiesero: prova rancore quando pensa a Sindona o ad Andreotti? “No, non rancore, disapprovazione. E’ un’altra cosa – rispose alla rivista I Siciliani nuovi, erede del giornale di Pippo Fava – Critica feroce, perché chi doveva comportarsi bene non si è comportato bene, ma non più di questo”. Oggi Silvio Novembre, il principale, fedele e leale collaboratore di Giorgio Ambrosoli, è morto a 85 anni. Era nato ad Alseno, in provincia di Piacenza, il 12 luglio 1934. Maresciallo in pensione della Guardia di Finanza, dal 1998 commendatore della Repubblica, nel 2014 il Comune di Milano gli concesse il massimo riconoscimento, l’Ambrogino d’Oro. Novembre fu al fianco di Ambrosoli, quando questi lavorò da commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, controllata da Michele Sindona, e durante il caso del fallimento del Banco Ambrosiano e partecipò alle più importanti indagi sulle banche per conto della Procura di Milano. Nel 1995 Michele Placido aveva interpretato il sottufficiale nel film da lui diretto, Un eroe borghese, basato sul libro di Corrado Stajano, ma la sua storia è raccontata anche dal libro scritto dal figlio di Giorgio Ambrosoli, Umberto, Qualunque cosa succeda, da cui è stata tratta anche una miniserie Rai con Pierfrancesco Favino.
Il maresciallo seguì e protesse l’avvocato Ambrosoli fin quando questi non fu ucciso da quattro colpi di pistola la sera dell’11 luglio 1979 a Milano. Pochi mesi dopo l’omicidio, nel dicembre dello stesso anno, la moglie di Novembre morì di malattia. Un paio di anni dopo l’uccisione dell’avvocato e “amico”, come lo definì in un’intervista, Novembre decise di lasciare la Guardia di finanza. Ma non per questo smise di impegnarsi per la diffusione della cultura della legalità: negli anni seguenti fondò a Milano il circolo Società civile e cominciò a recarsi con regolarità nelle scuole a incontrare gli studenti.
Una “persona dai modi molto umili, sfuggiva a qualunque occasione di protagonismo, negli eventi pubblici stava sempre in seconda fila. Era una persona generosa” lo ricorda Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, a nome di tutta la famiglia. “La prima considerazione è che perdiamo un amico, vicinissimo a papà ma anche a tutti noi in questi quarant’anni. La seconda è che perdiamo un esempio altissimo di cittadino, che ha saputo esercitare la propria responsabilità di privato e di uomo delle istituzioni con profondo amore per l’Italia. E che, nonostante per comprensibili ragioni abbia voluto lasciare la Guardia di finanza, non ha mai abdicato all’impegno per il Paese”. Ambrosoli, contattato dall’AdnKronos, aggiunge che “sarebbe riduttivo guardare alla sua persona solo attraverso il filtro delle vicende della Banca Privata Italiana. Il suo impegno è andato ben oltre: quando lasciò la Guardia di finanza mise la sua esperienza e competenza a disposizione dei commissari liquidatori del Banco Ambrosiano, avendo in quella occasione la possibilità anche di insegnare il suo metodo di lavoro ai tanti giovani collaboratori dei commissari”.
L’unione tra Ambrosoli e Novembre era più che professionale, fino a diventare un’amicizia fraterna. In un’intervista a Repubblica Novembre raccontò di aver smesso di festeggiare il compleanno perché all’indomani del giorno in cui uccisero Ambrosoli. “Messi insieme, non eravamo una somma ma una moltiplicazione. Senza di lui, io valevo un quarto, non la metà. E lo stesso lui senza di me. Giorgio ci metteva la grande competenza tecnica, la capacità di analisi. Io, la forza dei miei quarant’anni. La voglia di buttare giù i muri. Sempre”.