Sul tema del fine vita “è giusto ci sia un confronto serio in Parlamento. Mentre non ho dubbi che esista un diritto alla vita, dico che è da dubitare ci sia un diritto alla morte“. Giuseppe Conte interviene “da giurista e da cattolico” sul dibattito cominciato dopo la sentenza della Consulta che ha ritenuto non punibile, a determinate condizioni, “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio” di un paziente. Il premier non si tira indietro, in un momento in cui gli altri leader non parlano del tema, e pur con la premessa di non voler condizionare il dibattito in corso, esprime le sue convinzioni “personali”. Che inseriscono un paletto nella discussione che dovrà cominciare in Aula: “Se si stabilisse un diritto alla morte quantomeno ai medici dovrebbe essere garantito il diritto all’obiezione“. Conte ha parlato, ma nei partiti ancora poco o nulla si muove: il fronte cattolico è molto rappresentato, anche all’interno della maggioranza. Per questo appare un percorso a ostacoli la strada del disegno di legge appena presentata a Palazzo Madama che propone di dare sostanza alle indicazioni della Consulta.
Il premier venerdì sera era a Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, durante un’iniziativa organizzata da Affaritaliani.it. Nel cuore della sua Puglia, terra di fedeli alla Chiesa e a Padre Pio, di cui porta sempre il santino in tasca. Le sue parole si inseriscono nel solco tracciato anche dalla Conferenza episcopale italiana dopo la decisione della Corte costituzionale: “Appoggeremo l’opzione di obiezione di coscienza per i medici. Il medico esiste per curare le vite, non per interromperle”, aveva detto il segretario generale dei vescovi, Stefano Russo. L’intervento del premier però invita soprattutto il Parlamento a intervenire: già l’anno scorso la Consulta chiedeva di legiferare sull’ipotesi dell’introduzione normativa del suicidio medicalmente assistito, stabilendo delle coordinate precise come la irreversibilità della patologia, la sofferenza, la capacità di intendere e di volere e la necessità di un presidio per il sostegno vitale.
Nella maggioranza giallorossa convivono anime diverse anche all’interno dei due stessi partiti, M5s e Pd. Mercoledì al Senato, poco prima della sentenza della Consulta, è stato presentato un disegno di legge che porta le firme di parlamentari di tutte le forze che sostengono il governo: M5s, Pd, Leu, ex M5s e Italia Viva. Un provvedimento che modifica l’articolo 580 del codice penale intervenendo “sull’aiuto medico al morire e la tutela della dignità nella fase finale della vita”. Un testo utile a dare un contributo al lavoro comune. Ma Cinquestelle e democratici sono ancora alla ricerca di un’intesa che appare complessa: il fronte del dovere di vivere è trasversale ai partiti, che ora dovranno rimettersi alla prova dopo i continui fallimenti del passato.
Una convergenza certo più facile da trovare rispetto a quando al governo c’era la Lega. Matteo Salvini ha ribadito il suo “no” netto al suicidio assistito, così come Fratelli d’italia di Giorgia Meloni, oltre che l’Udc. “Su queste materie, anche laceranti con tante implicazioni, non se ne può fare una questione di governo, ed è giusto che ci sia un confronto tra i rappresenti del popolo”, ha detto Conte sempre da Ceglie Messapica, ma il centrodestra potrebbe presentarsi in Aula come un unico blocco contrario a priori.
“Come cattolica non potrei mai avallare un atto lesivo della dignità e della salvaguardia della vita. Ma oggi dobbiamo affrontare altro e cioè la scelta consapevole di un malato terminale di abbreviare le sue sofferenze“, ha dichiarato venerdì la presidente della commissione giustizia della Camera e deputata M5s, Francesca Businarolo. Che ha tentato di ricucire con la parte cattolica, parlando di “enorme incomprensione della sentenza” perché “niente e nessuno mette in pericolo la vita umana”. Per il Pd ha parlato all’Avvenire il capogruppo alla Camera, Graziano Delrio, cattolico e medico: “Il cuore del problema sta a monte: in che modo viene potenziata e aiutata la relazione di cura della persona, che non ha scelto di ammalarsi, ma è costretta nella malattia”. Secondo Delrio, infatti, “solo affrontando con uno sforzo comune questa prima parte si può non vedere come una sconfitta una soluzione per casi limitatissimi, in cui l’aiuto al suicidio non è più un fatto medico, un aiuto di Stato, ma l’azione di chi ha accompagnato la persona”.
Né M5s né Pd vogliono inimicarsi la loro componente cattolica e dalle parole di Businarolo e Delrio si può individuare qual è la strettissima strada entro la quale la maggioranza proverà a muoversi per trovare un’intesa. Una linea non diversa dall’opinione espressa dal premier Conte, in un momento i leader di partito, da Di Maio a Zingaretti e Renzi, invece hanno preferito non prendere posizioni nette. Le parole del presidente del Consiglio richiedono che la discussione cominci. Intanto c’è da decidere dove: alla Camera o al Senato. “Noi siamo pronte a riprendere il grande lavoro istruttorio già avviato sul provvedimento relativo al fine vita”, sostengono Francesca Businarolo e la presidente delle commissione affari sociali della Camera, Marialucia Lorefice.