Li aveva annunciati per la prima volta in campagna elettorale, ma in molti hanno creduto si trattasse solo di proclami e che Donald Trump non sarebbe andato fino in fondo. Invece la guerra commerciale sui dazi, le imposte doganali che paga il Paese (o il produttore) che esporta un bene o servizio in un altro Paese, si è inasprita sempre di più. Dopo la Cina, gli Usa hanno chiesto il conto anche all’Europa e la sentenza della Organizzazione mondiale del commercio (la Wto) attesa per il 30 settembre, stabilirà l’entità delle compensazioni che gli Stati Uniti possono chiedere all’Ue, legati a quegli aiuti al consorzio europeo Airbus giudicati illegali dalla stessa Wto.
Così l’ansia cresce anche in Italia. Nella sua visita al Villaggio Coldiretti il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha ammesso che le misure protezionistiche della Casa Bianca “farebbero molto male all’Europa”. E gli agricoltori gli hanno ricordato i rischi in particolare per i prodotti italiani, a partire dal parmigiano minacciato dai suoi prodotti “copioni” venduti oltreoceano. Non è un caso che la ministra per l’Agricoltura Teresa Bellanova ha scritto al capo del governo e al ministro degli Esteri Luigi Di Maio per chiedere “un urgente rafforzamento, da parte del governo italiano, del dialogo con l’amministrazione Usa per scongiurare il rischio dei dazi sull’agroalimentare italiano, che potrebbero mettere in serio pericolo posti di lavoro, imprese, famiglie di interi territori”.
La presa di posizione di Bellanova è tutt’altro che isolata perché l’attenzione e la tensione sono alte in tutto l’esecutivo. “L’attenzione del governo nei confronti del tema dei dazi è massima – dichiara il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà (M5s) – e vigileremo a tutti i livelli per tutelare il nostro export agroalimentare che rappresenta una delle massime voci della nostra bilancia economica”. Conte, spiega D’Incà, in queste ore sta cercando di aumentare il dialogo con l’amministrazione Usa e raccolgo l’invito della ministra Bellanova affinché tutto il governo lavori per non mettere in pericolo le nostre produzioni e migliaia di posti di lavoro”. Secondo D’Incà, “è assolutamente impensabile che consorzi come quello del grana padano e del parmigiano reggiano, paghino dazi pesantissimi e ingiustificati. Lavoreremo per tutelare le nostre eccellenze e per difendere allevatori e agricoltori”. Che tutto sia nelle mani (ancora una volta) di Conte è confermato indirettamente anche dal sarcasmo del suo più acerrimo avversario, il segretario della Lega Matteo Salvini: “Speriamo che i dazi non ci siano. Però Conte è un genio e amico di tutti, ci penserà sicuramente lui”.
Finora la manovra di Trump aveva colpito soprattutto Pechino, in primis con le imposte sull’acciaio e sull’alluminio (la Cina produce la metà dell’acciaio grezzo a livello mondiale, con esportazioni industriali per 50 miliardi di dollari). Motivazione ufficiale, rimediare al calo della produzione di acciaio e alluminio in Usa e “fermare il furto di proprietà intellettuale” ai danni degli Stati Uniti. La mossa del presidente Trump va letta nell’ambito di una guerra tra due superpotenze e, soprattutto, nell’ottica dei risultati da portare a casa e poter sventolare durante la campagna elettorale per le presidenziali. E lo dimostrano gli ultimi dazi scattati dal 1 settembre del 15 per cento su 112 miliardi di dollari di Made in China (applicati anche su abbigliamento, calzature e prodotti tecnologici), con la parte residua operativa dal 15 dicembre e ai quali Pechino ha già risposto con la stessa moneta. Il fatto è che, ormai da tempo, questa politica ha iniziato a minacciare anche l’Europa.
I DAZI VERSO L’EUROPA, LE ORIGINI – I dazi verso l’Ue sono stati annunciati a maggio scorso: misure per 20 miliardi di dollari sulle esportazioni di aerei e parti di aerei prodotte in Europa, destinate a colpire soprattutto Germania, Francia e Regno Unito, ma anche l’Italia per quanto riguarda una lunga serie di prodotti industriali e agricoli, tra cui vini e formaggi. Alla base della mossa di Trump c’è il contenzioso che ormai va avanti da 15 anni tra Stati Uniti ed Europa e che riguarda gli aiuti di Stato ai due principali produttori di aerei del mondo (l’americana Boeing e l’europea Airbus) illegittimi secondo i parametri della Wto. Di fatto, con una sentenza del 2011, l’Organizzazione mondiale del commercio aveva già stabilito stabilito che l’Ue ha erogato sussidi a favore dell’Airbus per 18 miliardi di dollari tra il 1968 e il 2006.
IL CONTENZIOSO BOEING-AIRBUS – Dopo il verdetto, l’Europa ha eliminato parte dei sussidi, ma questa decisione non ha soddisfatto né gli Usa, né tantomeno l’Organizzazione mondiale del commercio. Una vicenda che ha trovato nuovo impulso nel 2019, in seguito al crollo di Boeing, dovuto allo stop del 737 Max, il velivolo per il medio raggio bloccato dalle autorità della navigazione di tutto il mondo dopo l’incidente della compagni africana Ethiopian del 10 marzo, il secondo incidente mortale in meno di cinque mesi, dopo quello al bireattore dell’indonesiana Lion Air, precipitato a ottobre 2018. Da qui la necessità, per Trump, di rimediare a una situazione disastrosa. C’è da aggiungere che, contemporaneamente, l’Ue ha accusato gli Stati Uniti di avere concesso aiuti illegali per 10,4 miliardi a Boeing. In questo caso la Wto si è già pronunciata, confermando i sussidi illeciti, ma solo per 325 milioni di dollari. Anche Bruxelles potrebbe dunque imporre dazi sui prodotti Usa, ma conoscerà solo in primavera l’entità delle tariffe che potrà applicare.
LA RESA DEI CONTI – La richiesta formale americana al Wto è stata comunque di circa la metà della cifra annunciata a maggio (11 miliardi), anche se, secondo le notizie trapelate a Bruxelles, il documento finale fisserebbe le penali a 7 miliardi di euro. Abbastanza, secondo gli addetti ai lavori, per colpire non solo l’industria aeronautica europea ma anche l’agroalimentare. La Coldiretti ha lanciato l’allarme sugli effetti che i dazi potrebbero avere sui nostri prodotti, preoccupazione condivisa anche dal premier Giuseppe Conte. La verità è che potremmo essere a un punto di svolta, soprattutto se si guarda al contesto internazionale nel quale gli equilibri rischiano di saltare con conseguenze devastanti. E l’Italia potrebbe pagare non solo (come tutti) gli effetti finanziari di una escalation della guerra commerciale senza esclusione di colpi tra Cina e Usa che rischia di far scivolare l’economia mondiale in recessione, ma anche quelli sulla propria esportazione verso gli Stati Uniti. Nel frattempo è stata convocata per martedì, dalla presidenza di turno finlandese dell’Ue una colazione di lavoro informale con i ministri del Commercio estero dei Paesi membri, nel corso della quale si discuterà anche dei rapporti con gli Usa e il Wto.
LE POSSIBILI CONSEGUENZE DEI DAZI PER L’ITALIA – Secondo l’ultimo rapporto della Commissione Ue, ricorda l’Ansa, il surplus Ue per il 2017-2018 è stato pari a poco più di 11 miliardi. Ed elaborazioni Nomisma su dati Istat danno il saldo positivo per l’Italia, nel 2018, a circa tre miliardi. I dazi punitivi su formaggi e alimenti Dop italiani potrebbero portare a un vantaggio competitivo per le imitazioni americane. Tra l’altro, il rischio dei dazi di Trump si abbatte sul record storico del made in Italy negli Stati Uniti con un aumento dell’8,3% nei primi otto mesi del 2019. “Dopo il verdetto del Wto, già ad ottobre – spiega la Coldiretti – gli Stati Uniti potrebbero pubblicare nel registro Federale la nuova lista di prodotti europei da colpire con aumenti di tariffe fino al 100% che rischiano di frenare pesantemente la crescita del made in Italy che su quel mercato ha realizzato 42,4 miliardi nel 2018, il 10% nell’agroalimentare (4,2 miliardi)”.
I PRODOTTI A RISCHIO – Per l’associazione, dopo la Francia, potrebbe essere proprio l’Italia, con il suo agroalimentare, il Paese a pagare il conto più salato sulle esportazioni di formaggi, vini, salumi, pasta, olio extravergine di oliva, ma anche nei settori moda, moto e cosmetica. “In pericolo – ha spiegato la Coldiretti – sono soprattutto i formaggi, a causa delle pressioni della lobby dell’industria casearia Usa (CCFN) che ha addirittura scritto a Trump per chiedere di imporre dazi alle importazioni di formaggi europei per favorire l’industria del falso made in Italy”. Sono preoccupazioni condivise anche dal ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova che, in un’intervista al quotidiano La Stampa ha ricordato che “gli Stati Uniti rappresentano il mercato di sbocco più importante per i nostri vini e per le produzioni di qualità”, sottolineando che, per esempio, “per il Pecorino romano gli Usa sono il principale mercato estero”. Il rischio è enorme riguarda anche “pasta, Parmigiano Reggiano e Grana Padano e l’olio vergine d’oliva”.