Secondo Il Messaggero, il commissario Walter Verini ha fatto firmare ai candidati dem un documento secondo cui dopo l'eventuale elezione sono obbligati a pagare una sanzione in caso di passaggio ad altro gruppo. Un modo per provare a scongiurare la diaspora verso Italia Viva
Trentamila euro per chiunque cambierà casacca, passando dal Partito democratico al nuovo partito di Renzi o a qualsiasi altro gruppo, prima della fine della legislatura. È la penale che dovranno pagare, in caso di elezione, i candidati dem al consiglio regionale dell’Umbria, che i cittadini sono chiamati a rinnovare il prossimo 27 ottobre, dopo l’inchiesta sui concorsi truccati all’ospedale di Perugia che ha decapitato i vertici del Pd umbri e quelli dello stesso presidio. Lo riporta Il Messaggero.
La decisione, che ricorda quella presa da Luigi Di Maio per gli iscritti al Movimento 5 stelle, è stata presa direttamente dal commissario scelto da Nicola Zingaretti per guidare il partito dopo lo scandalo di concorsopoli, Walter Verini e dal nuovo tesoriere, il manager Paolo Coletti, chiamato a mettere in ordine i conti. Secondo quanto riporta il quotidiano romano, venerdì sera tutti i dem in corsa per il Consiglio regionale, sono stati convocati nello studio di un notaio, a Perugia, non solo per firmare le candidature, presentate ieri in Corte d’Appello, ma anche per stipulare un “contratto con tanto di penale”. Gli eletti, appunto, che decideranno cambiare gruppo prima della fine del quinquennio, dovranno versare alla segreteria regionale 30mila euro. Il motivo è semplice: la segreteria regionale si finanzia proprio con i contributi degli eletti in Regione che in questa tornata elettorale rischiano di essere veramente pochi. Il patto tra i candidati e il partito prevede il versamento, in caso di elezione, di mille euro al mese dei 7mila previsti come stipendio per i consiglieri regionali. Facendo i conti: 1000 al mese per cinque anni sono 60mila euro. In pratica il partito ne chiederebbe indietro la metà, in caso di abbandono.
Alle elezioni Movimento 5 stelle e dem si presenteranno insieme, dopo aver chiuso, quasi al limite il “patto civico”. Il nome scelto come governatore candidato è quello di Vincenzo Bianconi, albergatore di Norcia e presidente di Federalberghi, primo nome rossogiallo della storia. Ma nella lista del Partito democratico, tra i favoriti, secondo il Messaggero, ci sarebbero tre o quattro nomi vicini a Matteo Renzi e a Italia Viva. Si tratta di Donatella Porzi, la più votata fra i dem alla scorsa tornata, con 8700 preferenze, Marco Guasticchi e Giacomo Leonelli, che hanno, nella loro storia politica, diversi collegamenti, rispettivamente, con i renziani Luca Lotti e Maria Elena Boschi. Ma non solo, anche il viceministro Anna Ascani, originaria di Città di Castello, ha messo in lista un paio di uomini fidati. Insomma, i possibili “cambi di casacca” non sono pochi.
Solo pochi giorni fa, parlando a Porta a Porta in collegamento da New York, il leader del Movimento, Luigi Di Maio ha rilanciato uno dei vecchi cavalli di battaglia dei 5 stelle per “evitare il cambio di casacca”: l’introduzione del vincolo di mandato e di una “multa” di 100mila euro per chi “migra” verso altri partiti. Un’idea, quindi, molto simile alla clausola fatta firmare venerdì ai candidati dem dell’Umbria. La posizione del ministro degli Esteri è quella ribadita dal Movimento fin dal suo primo statuto e ritorna a ogni nuova elezione: “Troviamo una soluzione per evitare che si tradiscano i principi della libertà dell’individuo ma per tutelare i cittadini di fronte a chi tradisce gli italiani”. Lo stesso Di Maio, per esempio, aveva riproposto la “multa per i cambiacasacca” in occasione delle parlamentarie per le politiche del 2018. E, ancora prima, per le amministrative di Roma del 2017, un documento in 10 punti aveva introdotto una “sanzione di 150mila euro per i consiglieri M5s dissidenti”.
Regole e principi per i ribelli che, però, proprio il Partito democratico ha sempre criticato, considerandole “incostituzionali”. “Una multa M5s per chi dissente? Piuttosto serve subito una legge su partiti e democrazia interna (per evitarla ndr.)”, aveva commentato Lorenzo Guerini, attuale ministro della Difesa nel Conte 2, dopo l’uscita nel 2016 del decalogo per le elezioni nella Capitale. Per i dem le regole del Movimento 5 stelle erano “da tempi bui” e “sfioravano il fascismo”. “Le sanzioni pecuniarie”, aveva dichiarato Guerini, “oltre a sfiorare il ridicolo confermano l’esigenza di procedere senza indugi con una nuova legge in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione”. Una posizione non diversa da quella ribadita da alcuni esponenti del partito pochi giorni fa, dopo l’ultima dichiarazione sull’argomento fatta dal leader del Movimento. “Mi auguro che Di Maio avesse voglia di scherzare”, ha commentato il capogruppo Pd al Senato, Andrea Marcucci, ribadendo che “l’assenza del vincolo di mandato”, sancita dalla Costituzione “ha ancora un valore importantissimo”. Una linea seguita poi anche dal capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio: “Siamo anche noi contro il trasformismo, ma lo si combatte con altri strumenti”.
L’idea del Movimento 5 stelle, ora copiata dal Pd umbro, non è nuova nel panorama politico italiano: già nel 2010 l’Italia dei valori presentò ai candidati alle Regionali (in cui sosteneva il centrosinistra) un regolamento con una penale da 100mila euro per chi avesse abbandonato il partito. Antonio Di Pietro, per evitare di replicare i casi Sergio De Gregorio e Domenico Scilipoti, fece firmare a tutti il documento dal titolo “promessa di pagamento” come condizione per essere in lista.