Da metà settembre su Radio due, ogni sabato in seconda serata, va in onda un interessantissimo programma di Morgan che si chiama Cantautoradio. Non potevo non parlarne qui. Ve lo consiglio vivamente perché Morgan, quando parla dei cantautori, sa fare qualcosa di molto raro: unire passione e competenza, l’urgenza comunicativa e una felice scelta dei termini giusti per isolare, in poche parole, la poetica di un artista. Merce rara, rarissima.
La sua passione per i cantautori è vera, chiara e documentata, sia quando ne parla sia quando li canta, con un gusto per le melodie ariose alla Umberto Bindi e un’attenzione non consueta all’espressiva pronuncia delle parole. Anche nell’ultima puntata, parlando di Luigi Tenco, come prima cosa è partito da ciò che ha davvero reso il cantautore di Cassine un artista rivoluzionario: l’abbassare il linguaggio della canzone alla colloquialità – “partendo dalla prosa”, dice Morgan.
Le due puntate precedenti erano state invece dedicate a Fabrizio De André e anche lì ci sono stati dei momenti di lucida intuizione: per esempio la lettura interpretativa fatta per il brano Un giudice, molto acuta e raffinata, ma soprattutto preziosa. Fa capire infatti come dietro queste canzoni ci sia un mondo di rimandi interni e doppie, triple, quadruple letture che, nell’intreccio percettivo dell’ascoltatore, rigenerano ogni volta il gusto dell’ascolto. Perché la bellezza di un certo modo di intendere certe opere sta nella loro capacità di essere fruite, non permettendo alla brutalità dei meccanismi mercantili di consumarle.
Morgan è soprattutto un cantautore. A mio parere però un artista come lui non è assimilabile ai cantautori classicamente intesi. Io non lo inserirei nella canzone d’autore pura, letteraria. Morgan è prima di tutto un musicista. È sicuramente nel canone della canzone d’autore se però la si intende come canzone d’arte, di cui quella storicamente (ed etimologicamente) d’autore non è che una possibilità: antonomasia, per capirci meglio, ma più circoscritta rispetto all’insieme di cui fa parte.
Morgan fa canzone d’autore nell’accezione moderna di questo termine, con significato molto più allargato e complesso di quanto non succedesse negli anni Settanta. Lo fa nei brani di Canzoni dell’appartamento del 2003 e Da A ad A del 2007, che non esauriscono il proprio codice espressivo nella struttura melodia-armonia-testo unisone e dunque nella forma-canzone tradizionale. Ed è davvero ora di finirla con il fatto di sminuirlo, etichettandolo semplicisticamente come artista maudit. ‘Giù le mani da Morgan!’ verrebbe da dire, se non si difendesse così bene da solo.
C’è un momento all’inizio della seconda puntata di Cantautoradio in cui, parlando di De André, probabilmente viene fuori al meglio la sensibilità dell’artista Morgan. Si parla di come Faber nei testi si spingesse oltre il consueto, grazie a un sapiente uso dell’equilibrio, della misura, e di quanto comunque rimanesse usuale nella forma-canzone tradizionale.
È vero, Fabrizio De André sapeva essere colto e ricercato pur restando popolare, classico nel contenitore, nell’alternanza strofa/ritornello (in verità però quasi mai cantato con parole significanti) o nel rigore metrico delle ballate strofiche. Quello per De André era il ponte, il passaggio convenzionale indispensabile alla comunicazione. Ecco, Morgan nei suoi lavori spesso quel ponte l’ha abbattuto, distrutto e ricostruito. Lo ha fatto per esempio in Da A ad A, nell’evidente intento dadaista che forse caratterizza la sua intera poetica e di sicuro quell’album in particolare.
Ma cosa succederebbe oggi se, finalmente, Morgan tornasse a pubblicare un disco di inediti, convogliando la sua creatività nella costruzione di quel ponte costituito dalla forma-canzone tradizionale? Cosa succederebbe se oggi finalmente Morgan, a quasi 50 anni e dunque nel pieno della maturità artistica, seguisse definitivamente l’insegnamento di De André e ci regalasse una manciata di canzoni senza il timore di essere semplice? Semplice, ma non facile, ché sono due cose completamente differenti. Perché, sia detto chiaramente: la bellezza semplice in canzone è difficilissima da raggiungere.