Pensate se i vertici della Nasa aprissero alle teorie negazioniste dello sbarco sulla luna. Oppure se un accademico di grido palesasse serie perplessità sulla condensa delle scie d’aeroplano. O, ancora, se il Presidente della Bce si interrogasse sulla opportunità di immettere moneta nelle tasche dei cittadini anziché nelle casse delle banche. Il mondo al contrario, giusto? Non è mica possibile. Tutti conosciamo bene il confine tra certe verità consolidate, e introiettate dalle masse, e il mare controverso e insidioso delle teorie “alternative”. Eppure, la terza che avete letto sopra è successa davvero.
Mario Draghi, nel discorso di congedo, ha suggerito al suo successore, Christine Lagarde, di prendere in considerazione misure alternative come la Mmt theory o la helicopter money. Significa, né più né meno, immettere denaro nell’economia reale recapitandolo ai consumatori e alle imprese anziché al sistema bancario. La suggestione è, in sé, così sconcertante da essere stata pressoché ignorata dai giornaloni.
Comprensibile. Certe proposte, alle orecchie del Sistema e dei suoi garanti mediatici, suonano come bestemmie in chiesa. Finché le avanza un cospirazionista, è facile liquidarle come pattume, alla stessa stregua delle “scie chimiche” o del “finto allunaggio”. Quando le sdogana il massimo rappresentante di una istituzione come la Bce, invece, esse producono una dissonanza cognitiva. La prima reazione è: non può essere vero, quindi non è vero (negazione). La seconda è: se anche fosse vero, stendiamoci un velo sopra (censura).
E invece credo che dovremmo approfittare della circostanza per liberarci di un tabù: della moneta, della scaturigine della moneta, si può finalmente parlare senza pregiudizi. Se lo ha fatto Draghi, possiamo farlo anche noi, cominciando a porci una serie di domande interessanti. Intanto, l’idea della helicopter money ha senso? Sul piano della fattibilità pratica assolutamente sì.
La moneta, oggi, è teoricamente un mezzo di pagamento prodotto senza necessità di un controvalore (Bretton Woods e il gold exchange standard sono finiti, come noto, nel 1971). E, dunque, non c’è nulla – se non la volontà umana – a impedire la creazione di denaro nella quantità desiderata dalla stessa volontà umana che decide di produrlo. È questa la ragione per cui proprio Mario Draghi, il 9 gennaio 2014 – a una giornalista che gli chiedeva se la Bce potesse finire i soldi – rispose testualmente, con un sorriso imbarazzato: “Be’, tecnicamente no, non possono finire i soldi. Quindi abbiamo ampie risorse per fare fronte a tutte le emergenze”.
C’è però un’altra frase interessante di Draghi su cui riflettere, un passaggio dove egli manifesta una sorta di impotenza genetica del suo board: “Mettere soldi nelle tasche dei cittadini è compito della politica fiscale, non della politica monetaria”.
Il motivo è anche di carattere giuridico. A differenza di quanto sovente si dice, la Bce non crea propriamente denaro “dal nulla”. Lo crea solo grazie, e in virtù, di una piattaforma “sottostante” rappresentata da asset costituiti, per lo più, da titoli del debito pubblico. La banca centrale “emette” liquidità elettronica (e la alloca quale posta negativa nel proprio bilancio) solo in cambio di una posta positiva costituita da un titolo. Quindi, si tratta sempre e comunque dell’antichissimo paradigma della moneta-debito di cui siamo psicologicamente “debitori” da secoli e da cui non riusciamo a liberarci. È per questo ragione che Draghi, benché affascinato dall’idea, confessa di non “potere” – più che di non “volere” – regalare soldi ai cittadini.
In conclusione, il Presidente uscente ha offerto un assist straordinario per una riflessione eccentrica, e fuori dagli schemi, ma interessante e proficua. Se la Bce ha le mani legate, vittima essa stessa del paradigma della partita doppia di fra Luca Pacioli, perché uno Stato (titolare ultimo della sovranità, anche monetaria) non dovrebbe poter fare ciò che persino a una banca centrale è inibito? In effetti, dal punto di vista giuridico, già oggi i singoli stati – nel loro piccolo, per così dire, e salva approvazione della Bce medesima – coniano direttamente le monete metalliche ex art. 128, secondo comma Tfue. Lo Stato italiano, dal canto suo, ha previsto per via legislativa la facoltà (usata, invero, assai poco) di emettere biglietti di Stato quantomeno dal 1966 al 1998. E a tutt’oggi, l’art. 117 della Costituzione riserva allo Stato l’esclusiva potestà legislativa in materia di “moneta”.
Forse è giunto il momento di rivedere i nostri sclerotici paradigmi. Anche a costo di “rileggere” con occhi nuovi, o addirittura di correggere, le leggi e i trattati, se necessario. Lo esigono i tempi, come ha sottolineato proprio Mario Draghi: “Tutte le innovazioni in politica monetaria devono essere esaminate, studiate e ponderate. Questi sono grandi cambiamenti del mondo in cui la politica monetaria funziona e non ne abbiamo discusso. Sono argomenti che potrebbero far parte di una futura revisione strategica”. Se lo dice lui, fidiamoci. Osiamo.
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