Elisa Core, laureata in Economia e commercio, era destinata a nuotare fra moduli e fatture nello studio da commercialista del padre. Sara Armellino, laureata in Scienze forestali e ambientali, avrebbe probabilmente trovato lavoro all’estero. Invece ora entrambe dividono le loro energie fra un gregge di “marmocchi” (due a testa, quasi tutti piccoli) e uno di pecore e capre con cui producono formaggi per buongustai a Saliceto, al confine fra Piemonte e Liguria.
In un’area in cui i giovani fuggono in massa e la popolazione invecchia a ritmi giapponesi, Elisa e Sara hanno deciso di restare, catturate da un doppio incantesimo: quello della campagna e quello di una grotta scavata a mano nel tui (in dialetto “tufo”), che durante la guerra veniva usata come rifugio e che ora servirà a stagionare un formaggio di pura pecora a latte crudo, che si chiamerà “Stagionato della Gruta gran riserva”.
“La grotta è presso la cascina di mio nonno – racconta Sara – c’è dell’acqua che scorre sul fondo e la tiene sempre fresca. I miei nonni la usavano come cantina, ma potrebbe essere stata l’antica tomba di un re ligure”. “Ho lavorato 16 anni nello studio di mio padre – racconta Elisa Core – ma ho sempre amato la campagna. Quando abbiamo iniziato, nel 2016, avevamo solo una trentina di pecore di razza delle Langhe, una razza ormai in via di estinzione, che ha dato il nome alla ditta ‘Le Langhette’. Facciamo 15 tipi di formaggio: formaggi freschi, robiola di pura pecora, formaggetta di pura capra, yogurt di pecora e la giuncata, che è un formaggio tipico della zona”.
Chiedo: “Oggi le formaggette si trovano anche al supermercato. Come fate da sole a reggere la concorrenza?” “Abbiamo clienti selezionati che tengono alla qualità – risponde Sara – le nostre formaggette costano di più, ma il cliente sa che tipo di lavoro c’è dietro e che facciamo tutto noi: dal nutrire le pecore alla vendita. È importante che i giovani restino sul territorio, se no qui ci sarebbero solo boschi abbandonati. Vendiamo a privati, a negozi, a piccoli supermercati con prodotti selezionati, ma vendiamo soprattutto in Val Bormida”.
Sara ed Elisa oggi si dicono molto soddisfatte della loro azienda perché vendono in un ambito circoscritto. Altri produttori, che ugualmente puntano sulla qualità ma hanno bisogno di mercati più estesi, si scontrano con la crisi cronica delle infrastrutture liguri.
“Facciamo un esempio concreto – spiega Walter Sparso della Cia (Confederazione Italiana Agricoltori) – Riccardo Sancio è il mitico produttore di vino di Spotorno che, all’epoca del referendum di Renzi, produsse, su richiesta del ‘Comitato per il No’ di Savona, il ‘Vino del No’ con le etichette di Danilo Maramotti. Ieri mi spiegava: ‘Io non produco migliaia di bottiglie. Se producessi 10mila bottiglie le venderei al supermercato, che le comprerebbe non a sette euro, ma a 3,90. Come faccio a conciliare qualità e prezzo? Vado da un ristoratore, gli offro un rossese di altissima qualità e gli chiedo 6,5 o 7 euro e il ristoratore lo rivende a 14 o 15, che è comunque un buon prezzo, perché nei ristoranti il pigato normalmente lo trovi dai 18 euro in su.
“Ma questo cosa comporta? Crearsi una rete e portarglielo perché non puoi chiedere a un ristoratore di mollare tutto per venirlo a prendere dal produttore. Ora io ho 50 ristoratori che mi comprano una media di cinque, sei, sette cartoni, cioè 80 o 100 bottiglie. Immagini cosa vuol dire andare tutti i giorni in lungo la costa? Che passi la giornata in autostrada!”. Il crollo del ponte Morandi, tagliando in due la Liguria, ha reso ingestibile una situazione già caotica, specie per i piccoli produttori che devono raggiungere i punti dove c’è turismo, cioè dove c’è traffico.
“Lo stesso vale per l’olio, per il formaggio – continua Sparso – ma vale anche per i fiori di Albenga. Siccome il prodotto si confronta con la concorrenza olandese, che fa qualità ma la fa su grandi numeri e grandi trasporti, non è indifferente usare un’autostrada che è fra le più care d’Italia, in cui invece che in 12 ore arrivi in 24, e che costringe i camion a fare due viaggi invece che tre. Specialmente nel settore delle ‘aromatiche’ (timo , rosamarino, salvia etc.) la concorrenza si gioca su qualche centesimo a pianta e tutto questo fa presto a incidere. La caduta del ponte è stata la classica goccia che fa traboccare il vaso e oggi mette in difficoltà centinaia di aziende”.