Quart’ultimo posto in classifica, sei punti come Lecce, Brescia e Verona e quattro sconfitte (come non accadeva dal 1938-’39) nelle prime sei partite: quello del Milan di Giampaolo è il peggior avvio di campionato degli ultimi vent’anni. I rossoneri praticamente viaggiano al ritmo di una neopromossa, ma giocano peggio. Non hanno la benché minima identità tattica e uno straccio di idea, producono pochissimo in attacco, in compenso sbagliano sempre di più dietro. L’1-3 casalingo contro la Fiorentina del redivivo Montella è stato un’autentica figuraccia. In questi casi la colpa è sempre del mister, ed in effetti, al netto di un mercato confuso, una società davvero troppo inesperta, i conti ballerini, una rosa mediocre, il problema del Milan è (anche) l’allenatore. Inteso però non solo come Giampaolo, ma come chiunque abbia guidato di recente la squadra: i rossoneri vengono da quasi sei anni di tecnici completamente inadeguati. Tassotti, Seedorf, Inzaghi, Mihajlovic, Brocchi, Montella, Gattuso, Giampaolo: sembra la cronistoria di una provinciale, non di una delle squadre più forti e titolate d’Italia.
Traghettatori, vecchie glorie, onesti mestieranti: dai tempi di Massimiliano Allegri non ce n’è stato uno degno di sedere sulla panchina rossonera. E lo dimostra anche la fine che hanno fatto dopo: c’è chi allena in Serie B o addirittura in C, chi è finito sulla panchina del Camerun, chi a fare il commentatore tv. E questi sono i risultati. L’allenatore è fondamentale: determina il mercato, dà identità e anima alla squadra, trasforma i giocatori. L’ultimo Berlusconi li sceglieva in maniera capricciosa, poi c’è stato il caos cinese, quindi l’inesperienza di Boban e Maldini nella nuova era di Elliott: tre proprietà diverse, lo stesso errore. Non si può sbagliare sistematicamente una scelta così importante. Certo, si può dire anche che questa è forse la conseguenza e non la causa del declino. Che questi sono gli unici nomi che il Milan di questi anni è in grado di permettersi. Qualcosa di meglio e di diverso, però, si sarebbe potuto fare. Il rilancio passa anche e soprattutto da qui, da affidare un progetto credibile alla persona giusta: le ipotesi per l’eventuale sostituto (si è parlato di Shevchenko, persino di un ritorno di Gattuso, o Donadoni) non lasciano sperare molto di buono.
Ben diverso, invece, sarebbe riuscire magari per il prossimo giugno a convincere Spalletti, per non parlare di Allegri. Per il momento c’è ancora Giampaolo. Un tecnico non giovane e non di successo, che quattro anni fa allenava (male) a Cremona in Lega Pro e poi è riuscito sorprendentemente a rilanciare la sua carriera a Empoli, come erede di Sarri, guadagnandosi tre buone stagioni alla Sampdoria, ma mai al di sopra del nono posto. Trasformarlo in un vate del pallone, nel nuovo Sacchi a cui affidare la rifondazione rossonera, è stata un’operazione folle (di cui lui è la prima vittima). Sì, il problema è Giampaolo, perché questo Milan forse non sarà da Champions League ma di sicuro non è da quart’ultimo posto. Ma la colpa è soprattutto di chi l’ha voluto. Per questo, e non per altro, non è stato ancora esonerato. “L’allenatore è una nostra scelta, condivisa, e la difenderemo sempre”, ha detto Paolo Maldini dopo la sconfitta con la Fiorentina. Ha ragione. Se cacciano Giampaolo, loro come fanno a rimanere?