Proviamo a riepilogare, per capire il da farsi.
Primo punto: gran parte delle discussioni e delle polemiche che hanno accompagnato la mobilitazione del 27 settembre non riguardano la lotta ai cambiamenti climatici ma sono osservazioni più o meno tignose o intelligenti sul fatto che i ragazzi scendano in piazza dietro a Greta Thunberg. Che sia un vero movimento o solo una serie di eventi azzeccati. Comunque: ci troviamo di fronte a mobilitazioni inattese e straordinarie, anche se non – o non ancora – di fronte a un movimento capillare testardo continuativo.
Secondo punto. Si è un po’ sottovalutato il fatto che era stato fatto un appello a un global strike che avrebbe dovuto e potuto coinvolgere di più anche adulti e anziani.
A una certa distanza dalle piazze di venerdì, tra non so quale e quanta fetta di opinione pubblica e classe dirigente, si discute che misure prendere col decreto “Clima” del ministro Sergio Costa e nella manovra economica. Che possiamo e dobbiamo fare noi che non siamo né scolari né ministri, e in particolare noi ambientalisti o comunque persone che almeno qualche volta nella vita siamo stati attivisti di qualche causa?
In questo momento ci sono cause, vertenze, movimenti abbastanza specifici da essere facilmente comunicabili e abbastanza generali da rappresentare la spinta generale a frenare e bloccare le emissioni? E’ di cose del genere che abbiamo bisogno, altrimenti resta solo il prezioso monito a cambiare stili di vita consumo e trasporto: prezioso ma inafferrabile disperso in milioni di gesti “giusti o sbagliati” al giorno. La battaglia contro il Tav Torino-Lione poteva e potrebbe essere emblematica, ma purtroppo non è pienamente compresa e forse non è pienamente comprensibile come tema di decrescita indispensabile e controllata. Una battaglia per chiudere gli impianti di produzione dell’energia che causano più emissioni in Italia potrebbe essere emblematica e attraente, ma non risulta.
C’è sì un tema molto attuale e molto di moda: quello della lotta alla plastica. In parte, diciamocelo, è un po’ confuso. Quando si arriva al punto di rilanciare la bottiglia di vetro, per esempio, si esagera (pensate solo al suo peso, all’orrore di rompere i vetri per “avviarli a riciclo”). Comunque l’ostilità alla plastica è diffusa e può rappresentare un obiettivo, un passaggio visibile di questa transizione ecologica. La direttiva europea prevede di abolire gli imballaggi di plastica usa e getta tranne bottiglie e bicchieri, quindi innanzitutto piatti posate cannucce. Prima dell’estate il ministro Costa aveva comunicato che il ministero era a disposizione per aiutare gli Enti Locali a fare ordinanze contro la plastica usa e getta. Ma perché mandare avanti gli Enti Locali? Forse in quel momento c’era la Lega a frenare la riconversione. Ma adesso non c’è più e la questione di proibire almeno piatti posate e cannucce è del tutto nazionale, non locale.
Sarebbe un primo sbocco, un bel segnale. Per il resto non è facile trovare una risposta significativa – visibile e consistente al tempo stesso – alla domanda di ridurre le emissioni. E allora proviamo tutti insieme a imparare e diffondere le cifre. Perché è tutto quantificato, solo che ne parlano solo gli addetti ai lavori. Quanti conoscono l’andamento delle emissioni climalteranti che si producono in Italia? Quasi nessuno. Se ne parla solo in articoli specializzati.
Lo sapevate che quest’anno rischiano di aumentare rispetto all’anno scorso? E invece dovremmo pretendere e imporre che ogni anno, anzi ogni trimestre calino in modo significativo. Se non emergono spontaneamente i singoli conflitti simbolico-pratici di svolta ambientale proviamo a puntare tutto sui numeri, facendoli diventare popolari. Pretendiamo l’analisi costi-benefici energetici di ogni media opera edilizia o infrastrutturale (ad esempio: se c’è da decidere se lo stadio va abbattuto o rifatto, quanta CO2 produce l’una o l’altra scelta?). Tra poco escono i dati del terzo trimestre…