Sono una delle tante persone adulte che si sono emozionate alla vista del fiume umano colorato – così tanto giovane anagraficamente – che continua a colmare strade e piazze in tutto il mondo in difesa del pianeta. Condivido gli intenti che queste manifestazioni esprimono. E mi piace pensare che la consapevolezza e l’energia che la giovanissima e coraggiosa Greta Thunberg ha irradiato sia in parte anche il frutto dell’eredità costruita da moltissime persone adulte che si definiscono ecologiste e che hanno lavorato per la salvaguardia della natura fronteggiando l’incuria, il dileggio e la sottovalutazione di buona parte del mondo politico e sociale.
C’è però un “ma” che riguarda un pericolo: quello che potrebbe essere sottovalutato se, mentre si lotta per la consapevolezza e la giustizia ambientale, non si pone attenzione all’ingiustizia di genere e alla replicazione – dentro al virtuoso e giusto movimento di questi giovani – di una violenta mentalità patriarcale espressa nelle parole scelte per parlare di corpo e di sessualità.
Mi servo della frase di un osservatore acuto dei fenomeni sociali italiani dagli anni 70 in poi, il grande Giorgio Gaber. In Un’idea, canzone dello spettacolo Far finta di essere sani del 1973, Gaber dice: “Aveva tante idee, era un uomo d’avanguardia, si vestiva di nuova cultura, cambiava ogni momento, ma quand’era nudo, era un uomo dell’800”.
Mi è venuta alla mente vedendo alcuni cartelli, rigorosamente vergati su cartoni riciclati, con scritte che raccontano, a mio parere, la contraddizione della quale parla Gaber. Alcuni sono a sfondo sessuale esplicito, quasi sempre relativo al soddisfacimento della sessualità maschile versus inquinamento (“succhiate più cazzi, meno cannucce” oppure “i preservativi inquinano, ingoiare no” accanto a “più pompini, meno sacchettini”), mentre altri chiamano in causa il corpo femminile e lo svalutano – o peggio lo aggrediscono – per anteporre a esso la cura verso l’ambiente. Mi ha preoccupato leggere la scritta “la plastica la vogliamo solo nelle tette” o il terribile destroy my pussy, not my planet (distruggi la mia vagina, non il mio pianeta).
Attenzione: messaggi come questi non costituiscono la maggioranza dei contenuti nelle manifestazioni di Friday for future. Sono però convinta che non si debbano sottovalutare mai il sessismo e la misoginia delle parole d’ordine dei movimenti (pur se minoritaria, mi auguro) e il loro immaginario quando si tratta di sessualità e relazioni tra i sessi, a maggior ragione se emergono nel mondo giovanile.
Sappiamo che per la quasi totalità dei ragazzi e delle ragazze – dei nostri figli e figlie – la fonte unica, primaria e assoluta di insegnamento, apprendimento e ispirazione per la propria sessualità è la pornografia sul web. È inutile negarlo ed è un’unanimità che dovrebbe fare riflettere le persone adulte di riferimento. La disinvoltura a usare il turpiloquio e la volgarità a sfondo sessuale, forse anche in modo provocatorio per scandalizzare i grandi, sono il risultato della familiarità più con il porno che con il confronto tra generazioni su emozioni, rispetto e intimità.
Se delle ragazze usano il termine destroy (distruggere) riferito alla loro zona genitale e alla sessualità, è lecito chiedersi se abbiano chiaro che è quantomeno pericoloso normalizzare la violenza (se pur fin qui a parole) quando si parla di corpo e di relazioni. Nella celebre e terribile scena di stupro del film Sotto accusa con Jodie Foster, gli aggressori si incitano gridando “sfonda quella fica”, sinonimo tremendamente vicino a quel destroy.
Paradossale poi propugnare l’uso della plastica per le protesi al seno, una pratica assolutamente opposta a quella ecologista. Nel film Brotherhood un giovane uomo si innamora di un attivista ecologista di destra. Quest’ultimo, maniacalmente attento a cosa e a come consuma, invita il fidanzato a una riunione per preparare un’aggressione a degli stranieri. Il neofita gli fa notare la contraddizione tra l’amore per il pianeta e l’odio per gli esseri umani: “Per pranzo mangi tutto rigorosamente biologico e poi alla sera spacchi la testa al pakistano?” gli chiede.
Che si possa essere contemporaneamente ecologisti e razzisti, così come comunisti e omofobi o cattolici e crudeli verso i deboli (e si potrebbe continuare con gli ossimori) è la storia, anche recente, a ricordarcelo. Ma siccome questo movimento è fatto di persone tanto giovani, è urgente che chi è in relazione con loro – e vuole stare loro a fianco – non sottovaluti il rischio che l’ombra del veleno sessista si insinui in questo impegno straordinario. Gea, Gaia, Pachamama: la madre terra è appunto il grande corpo femminile che alimenta la vita e chiede rispetto.
Per questo stride che si usino parole violente per difenderla, senza pensare che si stanno banalizzando aspetti delicati e fondamentali come la sessualità, il corpo e le relazioni umane, per poi rivendicare empatia e attenzione verso il pianeta. C’è qualcosa che non va: è un bene ed è giusto rispettare la terra. Ma è bene e giusto rispettare allo stesso tempo anche i corpi, e prima di tutto il proprio.