Mentre il governo Conte 2 studia un pacchetto di misure per ridurre il male storico dell’evasione fiscale, le stime sull’ammontare del denaro sottratto ogni anno al fisco continuano ad aumentare. A testimoniarlo è l’ultima Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva – anno 2019, allegata alla Nota di aggiornamento al Def approvata lunedì in consiglio dei ministri. I calcoli sono stati aggiornati al 2016 e il nuovo dato è di 109,1 miliardi mentre la media 2014-2016 si gonfia a 109,67 miliardi. Contro i 107 miliardi stimati per il 2015, la cifra che fino a ieri rappresentava il termine di paragone per valutare quanto sia ambizioso il piano dell’esecutivo che conta di recuperarne 7. La montagna dell’evasione resta lievemente più bassa rispetto al 2014, quando secondo i calcoli del ministero dell’Economia ha toccato un record di 112,5 miliardi. La propensione all’evasione fiscale è pari al 21,9% nella media 2014-2016 e fra il 2016 e il 2017 segna un lieve rialzo, dal 31% al 31,1% (al netto del lavoro dipendente) principalmente imputabile a Irpef e Tasi. Ma il valore schizza per il lavoro autonomo e l’impresa, con una propensione all’evasione del 69,6% nel 2017 (68% l’anno prima). Segue l’Iva con un 27,4%: qui l’evasione da omessa fatturazione passa per l’uso del contante.
Il rapporto del Tesoro mostra che nel 2016 le sole entrate tributarie evase sono aumentate da 89,4 a 91,8 miliardi. Al contrario i contributi non versati sono passati da 11,6 a 11,19 miliardi. Nel 2017 il “tax gap” (differenza fra il gettito teorico e quello effettivo, che stima l’evasione fiscale) è calato per le entrate tributarie, collocandosi a 90.778 miliardi. Per quell’anno però non sono ancora disponibili i dati sui contributi. La scomposizione per tipologia di tributo mostra il gap maggiore con riferimento all’Iva, per un valore pari a 36 miliardi. Questo perché l’Iva è l’imposta con la più ampia base imponibile e “la specificità del tributo fa sì che l’evasione possa assumere un’entità maggiore delle altre alla luce della possibilità di accedere al regime dei rimborsi o delle compensazioni“. Per l’Iva, inoltre, si registra la maggiore incidenza della componente dovuta a omessi versamenti ed errori nella compilazione delle dichiarazione: nella media 2014-2016 si attestano a circa 9,3 miliardi di euro l’anno. Il rapporto sottolinea che l’Iva “potenziale” è aumentata notevolmente negli ultimi anni per effetto dell’applicazione anche alle società partecipate dalla pa e a quelle quotate al Ftse Mib dello split payment, meccanismo che obbliga la pa a trattenere e versare direttamente all’erario l’imposta sulle fatture emesse dai propri fornitori, senza che le somme transitino sui conti di questi ultimi. La seconda voce per importanza è il gap dell’Irpef da lavoro autonomo e da impresa, che risulta pari a 32,8 miliardi di euro, seguita dall’Ires con 8,3 miliardi di euro.
Al contrario l’introduzione del canone Rai nella bolletta elettrica ha fatto crollare il gap fiscale del 76% nel 2016, quando è passato a 239,7 milioni dagli 1,008 miliardi dell’anno prima. E con un ulteriore calo a 225,3 milioni nel 2017. “L’effetto positivo della nuova modalità di riscossione del canone ad uso privato ha registrato livelli ragguardevoli, quasi sei milioni di iscritti a ruolo in più rispetto al 2015 mentre di quasi 6,5 milioni è stato l’incremento dei paganti”, si legge nel documento. Quanto alla quota rimanente di evasione, le ipotesi avanzate sono false dichiarazioni di non detenzione della Tv, e mancati pagamenti tramite F24 per affittuari che non hanno effettuato la voltura del contratto elettrico, o residenti in isole non interconnesse alla rete elettrica.
In termini percentuali, scende il gap per la cedolare secca sulle locazioni (-21,3%) mentre aumenta quello per le accise sui prodotti energetici (+28,9%). In dettaglio, il tax gap dell’Irpef da lavoro autonomo e da impresa, Ires, Iva e Irap ammonta a 84 miliardi di euro nella media del periodo 2014-2016. A questa stima occorre aggiungere i circa 6,1 miliardi di euro dell’Irpef per il lavoro dipendente irregolare, comprese le addizionali regionali e comunali, i circa 5,1 miliardi di euro dell’Imu per gli immobili diversi dall’abitazione principale, circa 944 milioni di euro per la cedolare secca.
Al top del sommerso in Italia c’è la Calabria, seguita da Campania e Sicilia, con un terzo dell’economia ‘in nero’ prodotta dal Mezzogiorno in cui prevale la componente del lavoro irregolare. Ma il peso delle sotto-dichiarazioni fa sì che Lombardia, Lazio e Campania contribuiscano per più di un terzo al sommerso complessivo dell’Italia. Le stime sono di un’incidenza del sommerso, in percentuale del valore aggiunto, pari a 20,9 per la Calabria, 20 per la Campania, 19,2 per la Sicilia, 19 per il Mezzogiorno, con componente principale del sommerso data dal lavoro in nero, rispetto a una media italiana del sommerso al 13,8%. Il Lazio si situa al 13,13, con una prevalenza di sotto-dichiarazioni, mentre le aree più virtuose, sotto la media nazionale, sono le province autonome di Bolzano e Trento, il Nordovest, il Nordest.
A livello metodologico questo rapporto, come i precedenti, stima l’evasione con un approccio cosiddetto top down, basato sul confronto tra dati fiscali e un aggregato macroeconomico che incorpora una stima dell’Economia Non Osservata, selezionato per costruire una base imponibile teorica con la quale viene confrontata la base dichiarata dai contribuenti.